lunedì 9 dicembre 2019

Operazione G.A. 3: L’affondamento della Queen Elizabeth (19/12/41) nella relazione dei cap.ni Marceglia e Martellotta



Leonello Oliveri

Il 18 dicembre 1941 sei S.L.C. ("siluri a lunga corsa", chiamati anche “maiali”) 
Maiale-menselijke torpedo-onderzeeërrenegade (da Wiki Olanda) 
messi in mare dal sommergibile Scirè al largo della munita base militare inglese di Alessandria compirono quella che fu forse (in un rapporto costo/efficacia) la più audace e fruttifera missione militare navale della Marina Italiana e, probabilmente di tutte le marine (1). Su ciascun mezzo c’erano due uomini: il pilota, davanti e il secondo uomo, dietro. Costui era quello che aveva il compito più pesante, dovendo  compiere buona parte del tragitto “in immersione” mentre quello davanti, in posizione più elevata, poteva tenere la testa fuori almeno durante l'avvicinamento.
Sul primo mezzo (s.l.c. 221) c’erano Durand de la Penne e il capo palombaro Emilio Bianchi, sul secondo  (s.l.c. 222)  Vincenzo Martellotta e il capo palombaro Mario Marino, sul terzo (s.l.c 223) Antonio Marceglia e il sottocapo palombaro  Spartaco Schergat.
Il primo colpì e danneggiò gravemente la corazzata Valiant, il secondo affondò  la petroliera Sagona  danneggiando anche il cacciatorpediniere Jervis (il caccia che aveva partecipato alla distruzione del convoglio italiano Tarigo nell'aprile del '41), il terzo, mise fuori combattimento la corazzata Queen Elizabet.


Sei uomini in quattro ore avevano fatto più danni alla Marina di Sua Maestà di quante ne avesse fatto fino ad allora l’intera Marina Italiana: la Valiant  fu portata in Sud Africa per le riparazioni, la Queen addirittura negli Usa: entrambe rimasero fuori servizio a lungo, la Valiant per 6 mesi, la Queen per 17.
Tutti  e sei furono decorati di medaglia d’oro al valor militare. Quella di De La Penne gli fu appuntata sul  petto  (forse ancora nel ’44)  proprio dal comandante inglese della Valiant, sir Charles Morgan, colui che lo aveva fatto rinchiudere in una cala della corazzata per obbligarlo, senza successo, a dire dove era stata collocata la carica. (Piccola osservazione: la Convenzione di Ginevra vieta di esporre volontariamente un prigioniero di guerra ad un potenziale pericolo: se a farlo fosse stato un ufficiale tedesco...)(2).
Delle tre missioni quella che divenne poi più famosa fu quella  di De La Penne,  che divenne in seguito Deputato e Ammiraglio. Fu però anche quella meno "perfetta", in quanto i due uomini  vennero sorpresi ancora sotto la nave (ma dopo aver collocato le cariche, che esplosero regolarmente) (3).
Quella invece veramente perfetta fu la missione di Marceglia e Schergat, che riuscirono a sistemare la cariche, uscire  dal porto, approdare, sopravvivere alcuni giorni fra Alessandria e Rosetta prendendo treni, andando in albergo e al bar.
Furono poi catturati grazie ad un  errore del Servizio di Informazioni della nostra M.M., che li aveva forniti di denaro… che non aveva corso legale in Egitto.


Di quella missione avevo letto in passato la relazione che ne fece Durand De la Penne, (leggibile per es. qui http://www.cvv.it/wp-content/uploads/2017/05/CSTN-54S.pdf ) mentre non conoscevo quelle degli altri due equipaggi.
Ora ho trovato, fra le carte dell’OSS (il Servizio Segreto  statunitense, antenato della CIA) desecretate nel 2005, sia  il testo della relazione fatta da Marceglia sia quella, firmata, di Martellotta,  (4).
Le relazioni sono, ritengo, sicuramente note agli storici e, probabilmente, sono già state pubblicate. Postandole qui però sono più facilmente accessibili: inoltre i documenti che qui presento sono di pubblico dominio (Declassified and Approved for Release by the Central Intelligence Agency c’è scritto sul faldone)  e le relazioni stesse mi sembrano veramente interessanti in quanto contengono non solo il racconto delle faticose fasi dell’avvicinamente al bersaglio e dell’affondamento vero e proprio, ma anche le vicissitudini  vissute da Marceglia e Schergat nei giorni successivi, fino a quando furono catturati grazie all’errore, cui ho fatto cenno sopra, commesso da chi li aveva mandati.
N.B. in corsivo le relazioni, in normale i miei commenti. A causa di difetti nelle fotocopie, alcune parole al termine delle righe  risultano tagliate e non sempre ricostruibili.
La relazione di Martellotta ha la firma, senza data; la relazione di Maceglia ha la data (15 maggio '44) ma non la firma.







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Trascrizione doc. 41
GENERAL MAS
Alessandria Dicembre 1941
Cap.no G.N. Antonio Marceglia

Declassified and Approved for Release
by the Central Intelligence Agency
date: 2005OPERAZIONE ALESSANDRIA 19 - 12 - 1941
RELAZIONE CAPITANO G.N. Antonio MARCEGLIA

APPARECCHIO: S.L.C. 223
OPERATORI: Cap. G.N. Antonio MARCEGLIA
Palomb.           Spartaco SCHERGAT
 La relazione ha inizio dal momento in cui il mio operato diventa autonomo e termina all'atto del mio internamento. Per la parte che precede riferirsi alla relazione del Ten. di Vasc. DE LA PENNE.

I cilindri per il trasporto dei Maiali
sul somm. Scirè
Alle 015 [P.S. La missione era iniziata alle ore 2015 del 18 con l’uscita dal sommergibile Scirè] abbandono la formazione [i tre SLC navigavano in questa fase in emersione vicini l’uno all’altro] a circa un centinaio di metri dalla testata del frangiflutti [del porto di Alessandria] in seguito ad una errata valutazione di uno scoppio di carica subacquea che interpreto come urto contro uno scoglio per cui fermo la macchina.
[ Per eliminare eventuali incursori  venivano regolarmente scaricate nel bacino portuale cariche di profondità]
Rimetto in moto e mi allontano percorrendo lentamente un ampio arco intorno alla testata del molo. I fanali sul molo e sulle ostruzioni sono accesi, si sentono delle voci, un uomo con la lampada a petrolio si muove sulla testata.
Durante la navigazione vengono lanciate altre tre cariche subacquee: l'effetto è crescente e la strizione alle gambe mi evita di cadere un'altra volta in errore.
Messa in mare di un SLC
Riconosco l'ostruzione fissa esterna e la costeggio fine al fanale  rosso di estremità quindi accosto per rotta 400. Non incontro l'ostruzione mobile della porta perche, come era prevedibile dall'accensione dei fanali, è aperta.
Verso le 0040 sento un leggero fruscio a poppavia sinistra mi volto e vedo la sagoma grigia di un cacciatorpediniere che mi sta rapidamente  superando. Gli uomini sul castello sono al posto di manovra,  il C.T.  passa ad una distanza di circa 15 metri [!], accosto a dritta per allontanarmi; cercando contemporaneamente di diminuire le dimensioni del mio bersaglio.
Respiro sempre all'atmosfera, il mio secondo uomo ha già iniziata la respirazione in ossigeno ed è completamente rovesciato sulla dritta dell'apparecchio in modo da non uscire dall'acqua.
[era questa la condizione che rendeva particolarmente faticoso il viaggio al secondo uomo, obbligato a respirare quasi sempre con le bombole, e l’apparecchiatura subacquea personale non era un gran ché, specie la muta, tutt’altro che stagna e assai rigida]
Sopraggiunge un altro C.T., continuo la rotta di allontanamento per portarmi a riparo dai galleggianti dell'ostruzione fissa interna. Raggiungo l'ostruzione al passaggio del 3° C.T. Detta ostruzione è composta da galleggianti sferici di circa 1 metro alla distanza di 4-5 metri uniti  fra di loro da un cavo metallico molto flessibile. Passo questa ostruzione e la seconda  che dista circa 20 metri in superficie, penetro nel bacino compreso fra ostruzioni e frangiflutti del legname e con rotta 90° procedo al riconoscimento del frangiflutti.
Durante questa navigazione incontro uno dei nostri apparecchi il quale però non si accorge della mia presenza, verrò in seguito a sapere che è quello del Cap. MARTELLOTTA.
Proseguo a mezza forza con rotta 20° nel bacino compreso fra il frangiflutti interno e i moli dello scalo legnami. Avevamo scelto queste ro(tte?) per avere il massimo numero di riferimenti possibili a terra.
Mi tengo per quanto è possibile sull'asse di simmetria di detto bacino perche al frangiflutti del legname sono ormeggiati 2 incrociatori, sui quali però non scorgo segno di vita.
Al lato Nord del molo più settentrionale dello scalo legnami è ormeggiato un piroscafo che sta scaricando o caricando facendo largo uso di (cap)pelloni [grossi fari] che illuminano diffusamente lo specchio circostante. Sono così (costret?)to nell'ultimo tratto a tenermi leggermente più vicino  al frangiflutti.
Avvisto la sagoma della nave da Battaglia francese "LORRAINE” (..) scelgo a terra un punto di riferimento sulla rotta 40° che è la mia rotta d'attacco. Detto riferimento è costituito da una fila di luci azzurre, forse le finestre di un’ officina o di un magazzino.
Queen Elizabeth
Durante la navigazione su rotta 40° incontro un piroscafetto all’ancora e dopo un po' avvisto alla distanza di circa 300 metri il mio bersaglio, la Nave da Battaglia "QUEEN ELIZABETH”. La nave è mimetizzata a striscioni neri sub orizzontali, al centro e a poppa a striscioni sub verticali.
Dopo 5 minuti di navigazione avvisto di prora dei galleggianti d’ostruzione in gruppi di 4 a forma sferica di diametro non superiore a (..) centimetri..
Accosto a sinistra portandomi parallelo a questa ostruzione e fe(..?).
L'ostruzione ad una prima analisi risulta costituita da una rete di c(..): preferisco non scavalcarla, non conoscendone né gli scopi né l'esatta (costi)tuzione.
Il porto di Alessandria di notte
illuminato dai riflettori 
Fiancheggio l'ostruzione dirigendo verso la prora della nave arri(vando) così all'estremità, che è costituita da un barile di benzina. Entro nel bacino interno e girando intorno alla prora della nave mi porto sul suo lato dritto per non rimanere fra la nave e le luci del piroscafo. Unico segno di vita a bordo: la brace della sigaretta di un uomo che passeggia sul castello.
Mi porto in corrispondenza al fumaiolo e indosso la maschera.
Alle 0300 mi immergo ad una distanza dal bersaglio di circa 30-40 metri.
L'assetto dell’apparecchio è pesante, la sua velocità di caduta alta via via che si scende né mi riesce di fermarlo con i timoni forse perché non è abbastanza abbrivato in avanti. Sento un acuto dolore all'o(rec)chio,  finalmente tocchiamo fondo a 13 metri sollevando una nuvola di fango.
Incomincio a strisciare sub fondo con rotta 180°; il rumore di un motore alternativo, probabilmente la centrale elettrica di bordo si fa sempre più forte via via che ci avviciniamo.
A un certo momento ritengo di essere sotto lo scafo, mando in ricognizione ii palombaro che sale con l'ascensore (cimetta assicurata all'apparecchio) per circa 5-6 metri. Ritorna e mi fa segno di proseguire. Av(anzo) di qualche metro, ora il rumore è molto forte, faccio eseguire un'altra cognizione. Il palombaro mi fa segno di salire.
Dò aria alla cassa emersione, l'apparecchio tarda a staccarsi dal fondo, finalmente si muove e salendo sempre più rapidamente urta con violenza contro lo scafo della nave.
Sono in corrispondenza all'aletta di rollio di dritta alla quale assicuro l'apparecchio con un sergente (morsetto). Mando il palombaro (dal)l'altra aletta per eseguire il collegamento. Nella suddivisione del lavoro avevo assegnato al Pal(ombaro) SCHERGAT questa fase avendo verificato la m(ia?)scarsa capacità di mantenere l'equilibrio e la direzione sott'acqua di notte.
Il primo tentativo non riesce, me ne accorgo dall'andamento del cavetto che ci unisce. SCHERGAT ritorna e gli ordino di ritentare.
Dopo un certo tempo che mi sembra enorme ricevo finalmente il segnale: è arrivato dall'altra parte. Gli porto l'altro sergente e assicuriamo ili cavetto all'aletta di rollio di sinistra.
Un operatore della Xa Mas
Ritorniamo all'apparecchio, SCHERGAT stacca la carica, ma al momento di porgermi la cima di questa mi avverte che si sente male. La lunga permanenza nella respirazione in ossigeno e ii lavoro a 10 metri di profondità gli hanno prodotto un inizio di avvelenamento da ossigeno con le caratteristiche scosse epilettiche.
Termino il lavoro da solo: porto la testa in corrispondenza alla chiglia della nave, l'assicuro con la cima al cavetto ad una distanza di un metro e mezzo dallo scafo e metto in moto le spolette. Sono circa le 0325 [la partenza dei S.L.C.  era avvenuta alle 21 del giorno prima: sono già 6 ore di lavoro in condizioni durissime] Ritorno all'apparecchio, allago la cassa emersione, mi stacco dalla nave e ricado sul fondo.
Ricomincio a strisciare sul fondo. Le condizioni del mio secondo uomo si sono fatte quanto mai precarie, mi fa ripetuti segni di salire, finalmente do aria allä cassa emersione.
La salita diventa agitata, cerco di rallentarla allagando parzialmente l'emersione ciò nonostante usciamo dall'acqua in mezzo ad tin forte ribollio.
Da bordo si sono accorti, un riflettorino da poppa illumina lo specchio d'acqua dal quale emergiamo. Ficchiamo la testa sott'acqua e aspettiamo. Dopo un minuto è nuovamente calmo.
Riprendo in senso diverso le rotte d'arrivo. Passando di prora alla nave scorgo a proravia della nave da Battaglia "VALIANT,, una luce puntata sull'acqua e mi sembra di vedere un'imbarcazione. Forse qualcosa che non va per i miei compagni (5).
Ad un centinaio di metri dalle ostruzioni della nave, fermo, ci leviamo le maschere e mettiamo in moto le spolette della bombe incendiarie. Proseguo con rotta 220°, oltrepasso il piroscafo da carico poi accosto leggermente a sinistra per riconoscere la costa, mi trovo così a navigare a un certo punto nelle acque fetide dello scarico di una cloaca.
Oltrepasso lo scalo legnami; raggiungo la banchina del cotone e finalmente riconosco la spiaggetta del macello. Avevo scelto questa spiaggetta come punto di sbarco perche' si trovava fuori della cinta doganale del porto che sapevo fortemente sorvegliata.
Mi allontano dalla costa per portarmi in acque profonde, ci leviamo i respiratori, li sventriamo e affondiamo, appesantisco l'apparecchio, metto in moto l'autodistruttore e lo affondo. A nuoto dirigiamo lentamente verso terra.
Alle 0430 circa tocchiamo terra, ci spogliamo sotto la carena di una barca in secca, nascondiamo i vestiti sotto dei sassi, perché non è prudente gettarli in mare che in quel punto è poco profondo, indi ci avviamo a cercare un'uscita.
[la missione è perfettamente riuscita: dalle 21 alle 0430: quasi 8 ore  di lavoro in condizioni estreme]
(Da R.A. Burt, Brish Battleships 1919-45)

 Troviamo un muro e lo seguiamo finché troviamo una porta che è aperta. Stiamo per varcarla quando siamo fermati da un arabo che stava seduto dietro la porta e di cui non ce ne eravamo accorti. Attraversiamo uno spiazzo probabilmente di raccolta del bestiame e finalmente raggiungiamo la strada asfaltata che va verso Alessandria.
Dopo pochi metri venimmo nuovamente fermati da un soldato sudanese di guardia ad un capannone. Gli parlo in francese, che non capisce: finalmente chiama un'altra sentinella di guardia più avanti, credono che siamo marinai francesi che abbiamo perduto la strada e ci indicano la via per l'imbarcadero. Proseguiamo tenendoci vicino alle rotaie del tram per non fare altri brutti incontri.
Verso le sei incomincia ad albeggiare, rovesciamo i polsi delle maniche per nascondere i galloni e il collo all'interno per nascondere le stellette.[Per evitare di essere fucilati in caso di arresto, tutti e sei gli incursori erano in divisa]
 Alle 0615 circa passando sul cavalcavia che attraversa il tronco ferroviario che entra nella zona portuale sentiamo uno scoppio, piuttosto leggero. Le navi non sono visibili.
Alle 0640 arrivo alla stazione ferroviaria, ci rechiamo al bar per rifocillarci e riscaldarci. Siamo bagnati ed abbiamo sul viso i segni della notte passata in acqua.
[e l’immagine degli Incursori della Marina che dopo aver affondato  una corazzata inglese si recano al bar per prendere un caffè è eccezionale!!]

Al momento di pagare presento una delle  banconote da 5 sterline che ci erano state date, il cameriere non conosce la moneta; si reca all'Ufficio militare della stazione e agli sportelli dei biglietti ma non possono cambiargliela. La valuta inglese già da tempo non ha corso in Egitto;
[ottimo esempio della sagacia del nostro Servizio Informazioni!!] e il cambio è autorizzato solo nelle banche previa riconoscimento dell'individuo. Le banche a quell'ora sono chiuse. Prendo una carrozzella e passo da  vari cambiavalute e dall'agenzia Cook ma tutti rifiutano di cambiarmi la banconota, finalmente all'angolo di una piazza trovo un cambiavalute ambulante che mi da 350 piastre.
Pago il bar, la carrozza, altre mance, intanto si è fatto tardi ed il treno per Rosetta è già partito, il prossimo parte alle 16.
Lo schema di ricupero degli operatori era il seguente: un Smg. al Comando del C.C. LOMBARDI si sarebbe trovato nelle notti del 24 e 26 dicembre dalle  00 alle 0300 quindici miglia a nord della bocca del Nilo a Rosetta. Gli operatori avrebbero dovuto procurarsi il mezzo per raggiungere ii sommergibile. Il riconoscimento sarebbe avvenuto a voce. [Si contava sulla capacità italiana di arrangiarsi, o, più probabilmente, era un modo per  dare almeno una labile speranza di recupero?] INella mattinata ci rechiamo sulla sponda del canale Mamoddieh dove ci stendiamo al sole ad asciugare noi e i quattrini.
Da R.A. Burt, Brish Battleships 1919-45
Verso mezzogiorno ritorno in città per cercare di cambiare altri quattrini, ma inutilmente perche' non riesco a trovare il cambiavalute. Andiamo al bar a mangiare in un ristorante a buon prezzo. Dopo mangiato vagabondiamo un po’ senza mai sostare troppo perche destiamo l'attenzione del poliziotti egiziani. Finalmente  verso le 15,30 ritorniamo in stazione. Acquisto 2 biglietti di 3" classe per Rosetta e mi installo in mezzo ad un gruppo di indigeni.
L'aver scelto la 3" classe mi permette di evitare un controllo da parte della polizia.
Verso le 19 arrivo a Rosetta, la cittadina è buia non solo per l'oscuramento ma anche per l'assenza dl luce elettrica. Seguo la corrente del viaggiatori che esce dalla stazione. Ad un negozio. di barbiere chiedo di indicarmi un albergo; un garzone s'offre di accompagnarmi ma ho fatto pochi passi che vengö fermato da un soldato egiziano armato di fucile e baionetta e invitato a seguirlo all'Ufficio di Polizia. Là vengo interrogato da un funzionario civile che per fortuna conosce solo l'inglese. Gli racconto che siamo due marinai francesi, venuti a passare la fine settimana a Rosetta. Ci chiede come mai siamo sprovvisti di documenti, anche del pass per entrare ed uscire dal porto di Alessandria, gli spiego che non avevamo ritenuto necessario portarli.
Alla fine si accorge che abbiamo ancora quattrini e si offre di portarci a mangiare e poi all'albergo. Ci fa spendere molto,ma per lo meno anche questa volta ce la caviamo.
Prima di andare a dormire affido al poliziotto una banconota da 5 sterline; avendo egli affermato che forse all'ospedale inglese gliela avrebbero cambiata.
La camera dove dormiamo ha come uniche suppellettili 2 letti costituiti da un tavolaccio e due imbottite senza lenzuola.
Al mattino lo stesso poliziotto della sera viene a svegliarci e usciamo con lui a passeggiare. Non ha cambiato la banconota perchè gli offrivano solo 3 lire egiziane.
Per stornare i suoi sospetti risaliamo il corso del Nilo  poi ad un certo  momento ml libero dal poliziotto regalandogli una mancia.
Invertiamo direzione e scendiamo verso la foce dove dovrebbero trovarsi delle barche da pescatori, delle quali potremo eventualmente impadronirci.
Rosetta è distante 5 Km. dal mare, ne percorriamo circa 2 lungo la strada che fiancheggia la riva sinistra del Nilo. Poco dopo siamo fermati da una camionetta con una ventina di uomini della polizia costiera egiziana che ci chiedono le generalità. Sono poco persuasi ma ci lasciano andare ordinandoci di ritornare sui nostri passi. Sono sempre assillato dal bisogno di danaro. Dobbiamo vivere altri 6 giorni, non solo, ma nell’eventualità di non trovare il sommergibile ho in progetto di continuare a vela fino a Creta e per far questo i vogliono almeno 10 giorni di viveri.
In paese cerco di nuovo il poliziotto deciso a cambiare la moneta anche ad un cambio cosi sfavorevole. Ritorno all'Ufficio di Polizia ma non riesco a ricordarne bene il nome.
Ci compriamo qualcosa da mangiare e andiamo a consumarla sotto la tettoia di una specie di Buffet non lontano dal Nilo.
Verso le 2 del pomeriggio ripassa la camionetta del mattino questa volta si fermano e ci invitano a salire. Ci portano ad un posto di polizia in mezzo alla campagna e dopo alcune telefonate, di nuovo a Rosetta. I poliziotti non conoscono ii francese e si servono per interprete di un europeo che poi saprò essere di origine ungherese. Questi cerca di trarmi dai guai, sebbene abbia capito che c'è qualcosa di poco chiaro, ma non riesce.
Le due corazzate fotografate dalla ricognizione italiana
Veniamo lasciati in custodia alla polizia di Rosetta. Verso le 17 arriva un funzionario a cui racconto la solita storia, alla fine si decide a farci perquisire. Trova la tessera di Ufficiale e dopo alcuni minuti riesce a decifrare "R. MARINA ITALIANA„. Va in escandescenze ma per poco, stende un primo verbale e fa una specie di interrogatorio tramite un interprete che in gioventù ha frequentato scuole di religiosi italiani  dal quale viene a sapere che ci troviamo in Egitto da pochi giorni e basta. Ci viene portato da mangiare e pernottiamo su un pancone del corpo di guardia. L'indomani mattina veniamo portati in treno ad Alessandria ammanettati malgrado le mie proteste.
Durante mi perquisizione mi viene sottratta una catenella d'oro con medaglietta [!]e ci vengono sequestrati orologi subacquei (6) e valuta.
Ad Alessandria veniamo portati al Comando della polizia Egiziana dove già sanno di che si tratta avendo catturato 2 giorni prima il Capitano MARTELLOTTA e veniamo consegnati agli inglesi che ci trasportano in un forte non lungi dalla stazione e sede di un Comando militare. Una vettura della marina con scorta di fucilieri ci porta a Ras El Tin al Comando Marina. Un Ufficiale interprete mi chiede dove abbia lasciato l’ apparecchio. Al mio rifiuto di rispondere non insiste. Ad una parete vedo un piano degli ormeggi con annessa specifica delle navi. Vengo cosi a sapere che il mio bersaglio è la  "QUEEN ELIZABETH" e che - I'altra è la "VALIANT".
Esplosione nel porto di Alessandria (David Ralph Goodwin, RAN)
Vengo portato in una cella di rigore e lasciato senza mangiare.
Dopo poche ore parto per il Cairo dove vengo trasportato al campo di interrogazione -di Alessandria, dove trovo i miei compagni.
Il giorno 24 dicembre vengo interrogato per 2 ore. Le domande vertono sopratutto su nostri supposti appoggi a terra e relativi segnali e su particolari tecnici dell'apparecchio, piuttosto ingenui data l'ignoranza sull'argomento da parte dell'interrogatore.
Ad alcune domande rifiuto di rispondere, ad altre rispondo con delle menzogne, rispondo solo a quelle di nessuna importanza nei riguardi dell'organizzazione e del materiale. Cerco di avere notizie dei danni prodotti senza riuscirci (7). Il giorno 30 vengo trasportato al Campo 321 in Palestina dove ha inizio la mia vera vita di prigionia di guerra.
Comandanti dei campi nei quali ho vissuto:

Campo 321     - fino all'agosto 1942  T.V.     De La Penne
"          321      "         "dicembre "    Col.      A.A. De Silvestro
"             24 India "    " Marzo        1943     Col. Ftr. Di Meo
             24     "          “ giugno        " .        Col. Ftr. Vinai
!              27    "          "- " agosto      "          Col. S.M. Vernia
"              27    "          " febbraio 1944         Col.  Art. Ninni

OSSERVAZIONI E PROPOSTE
Spartaco Schergat
Il comportamento del mio secondo uomo Pal(ombaro) Spartaco SCHERGAT durante la missione è stato superiore ad ogni elogio e il lavoro che io gli avevo assegnato è stato condotto a termine magistralmente. Durante la prigionia nel  periodo che è stato insieme a me fino al Settembre 1942 si è dimostrato attivo e disciplinato (8).
Li 15 maggio 1944
IL CAPITANO G.N.
F/to (Antonio MARCEGLIA)
[Manca  la firma autografa]



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Ed ecco la relazione del cap.no Martellotta


GENERA MAS
Alessandria Dicembre 1941
Cap. N.A. Vincenzo Martellotta

OPERAZIONE ALESSANDRIA 18 DICEMBRE 1941
RELAZIONE DEL CAPITANO A.N. SPE. Vincenzo MARTELLOTTA
                       
Data di esecuzione: notte tra il 18 e il 19 dicembre 1941
Apparecchio               n.° 222
Equipaggio     1° operatore Capitano A.N. SPE. Vincenzo MARTELLOTTA
2° operatore 2° Capo Palombaro Mario      MARINO
Relazione cronologica.-
A bordo del Sommergibile SCIRE’  alle ore 16,30 del 18 dicembre 1941
Vincenza Martellotta
ricevo dal Comandante del Sommergibile stesso il seguente ordine di operazione: "Attaccare una grossa petroliera carica e disporre nelle immediate vicinanze quattro bombe incendiarie".
La segnalata presenza nel porto di Alessandria di 12 petroliere cariche per complessivo di circa 120000 tonnellate di nafta, rilevava esaurientemente la grande importanza del’ ordine ricevuto; l’incendio che poteva svilupparsi sarebbe stato di proporzioni tali da provocare la completa distruzione del porto stesso con tutte le unità presenti e di tutte le sue installazioni. Tuttavia, non posso fare a meno di rispondere: "Comandante io obbedisco; però mi permetto di farle presente che sarebbe state ambizione mia e del mio palombaro attaccare una nave da guerra”.
I1 Comandante accetta questa mia osservazione con un sorriso, e per accontentarmi, poiché sapeva del probabile rientro in porto di una nave portaerei, modifica come segue il precedente ordine di operazione: “Ricercare nei suoi due siti di ormeggio abituali la nave portaerei ed attaccarla in caso di ritrovamento; in case negativo tralasciare qualsiasi altro bersaglio costituito da unità militari ed attaccare una grossa petroliera carica disponendo nelle sue immediate vicinanze le quattro bombe incendiarie".
Alle 20,30 del 18 dicembre fuoriusciamo dal Sommergibile in affioramento. Indi il sommergibile esegue la manovra per posarsi sul fondo; durante questa avverto un dolore alle orecchie che però scompare al termine della discesa.
Il battello, posatosi sul fondo, rimane leggermente sbandato sulla dritta; questa circostanza mi procura delle difficoltà nell’ apertura del portello del cilindro contenente il mio apparecchio, situato appunto a poppa dritta. Tutti gli sforzi del mio palombaro per far compiere al portello la complete rotazione sulla cerniera, non riescono a farlo ruotare più di una trentina di gradi. Chiedo ora alla riserva S. Ten. Medico SPACCARELLI di venire ad aiutarmi; e cosi, in due, sempre però con molto sforzo riusciamo ad aprirlo completamente, credo provocando qualche rottura. Come infatti seppi alcuni mesi dopo, il sommergibile rientrò a Lero con il portello del cilindro aperto perche il personale di bordo non riuscì a rinchiuderlo. Seppi anche che il S.Ten. SPACCARELLI svenne subito per gli sforzi fatti nell’ aiutarci e fu riportato a bordo dal’altra riserva Ten. D. M. FELTRINELLI.
Le operazioni per estrarre l'apparecchio si svolgono regolarmente.
Il palombaro Mario Marino
Eravamo d'accordo con DE LA PENNE e MARCEGLIA di riunirci a prua del sommergibile per poi andare insieme in superficie. Però, avendomi le difficoltà incontrate nell'apertura del portello causato una perdita di tempo e comprendendo dal rumore delle pompe in azione che gli altri due apparecchi  stanno già a galla invece di portarmi a prua seguendo la draglia del sommergibile, mi porto direttamente in superficie manovrando con l'aria. Appena fuori eseguo l'estrazione dei (..?) . dalle batterie, apro il rubinetto di intercettazione del manometro di profond(ità) e la saracinesca della pompa di assetto. Il mio apparecchio è leggermente pes(ante?) di assetto, proprio come lo avevo regolato prima di sistemarlo nel cilindro del sommergibile; lo alleggerisco, manovrando questa volta con le   pompe,  metto in moto e mi unisco agli altri due.
Il mare è calmo, la notte buia e intorno a noi tutto tranquillo. In formazione, a brevissima distanza l'uno dall'altro, dirigiamo seguendo le rotte studiate per avvicinarci all'imboccatura del porto.
Sono circa le 2100. Data la distanza che dobbiamo percorrere, data la  piccola velocità degli apparecchi, dato il tempo che richiede il superamento delle ostruzioni, le ore di oscurità di cui possiamo disporre sono appena sufficienti per permetterci di raggiungere gli obbiettivi navigando sempre in superficie. Navigare  in immersione, per occultarci in caso di avvistamento da parte del nemico sarebbe stato causa di una perdita di tempo tale da pregiudicare definitivamente la riuscita della missione. In base a queste considerazioni decidiamo di compiere la navigazione sempre in superficie e dritti sulle nostre rotte anche se fossimo stati avvistati e fatti segno a caccia da parte del nemico: o la missione (fini)va lì o riuscivamo a condurla a termine .
Ci avevano detto che, a semicerchio con raggio di circa 5.000 metri dall’imboccatura del porto e correnti da una sponda all'altra in mode da chiuderlo completamente, erano stesi un cavo idrofonico ed una linea di gimnoti [i gimnoti sono pesci in grado di produrre scariche elettriche: qui probabilmente ci si riferisce a cavi con  caratteristiche simili: ma nel settore siamo tutt'altro che esperti]: in tal modo doveva essere impossibile a qualunque imbarcazione a motore non segnalata avvicinarsi al porto. Il non avere a nostra disposizione un mezzo per eludere un tale tipo di sbarramento ci risparmia il fastidio di prenderlo in considerazione;
Procediamo dopo aver tutti tolte la maschera facendo affidamento sul silenzia(to?) dei nostri motori. Il  mio apparecchio notevolmente più veloce degli altri tanto che per stare uniti mi tocca navigare in seconda tacca mentre gli altri navigano in quanta.
Ad ma certo momento si accende il faro di Ras El Tin proiettandoci add(osso) il suo fascio di luce intermittente; vengono così illuminati dei punti a terra che vediamo e riconosciamo benissimo e che ci consentono di accertarci dell'esattezza  della nostra posizione e della nostra rotta. Ci fermiamo qualche minuto per perfezionare l'assetto degli apparecchi: ne approfittiamo per consumare i nostri viveri. Appena pronti mettiamo in moto e riprendiamo la navigazione verso l’imboccatura.
Costeggiamo ad una distanza di circa cento metri il frangiflutti esterno.
I fanali delle boe del canale di ponente sono accesi: questo mi fa pensare che qualche bastimento debba entrare o uscire dal porto. Uno scoppio mi dà la sensazione di aver urtato con l'apparecchio e con i piedi contro uno scoglio o qualche cosa di simile; l'apparecchio però è libero da ogni ostacolo, e da un secondo  scoppio capisco che si tratta di bombette subacquee. Questa volta, come per le successive, avverto una forte pressione alle gambe, come se queste fossero premute da qualcosa di pesante contro l'apparecchio. Metto la maschera e, per evitare la dannosa influenza dei frequenti aumenti di pressione alle parti vitali del corpo mi piego in modo da restare basso sull'acqua ma con cuore, polmoni, e testa fuori. Dico al mio palombaro Marino di mettere anche lui la maschera e di assumere una posizione simile alla mia, voltato però verso poppa, dato che io da quella parte non potevo badare, occupato com'ero a guardare di prora e con la maschera che mi consentiva solo un limitato settore di visibilità.
Arriviamo così all'imboccatura del porto. Nel doppiare l'estremità dell'ostruzione fissa esterna perdiamo il contatto con l'apparecchio di Marceglia. I fanali rosso e verde dell'entrata sono accesi. Sento alcune voci che provengono dalla testata del frangiflutti esterno e vedo agitarsi un fanale a mano presso il fanale di sinistra; presso il fanale di dritta scorgo una specie di garitta. Procediamo cercando di mantenerci al centro del passaggio tra i due fanali.
All'altezza della testata del moli non incontriamo, come ci aspettavamo, l'ostruzione: è  aperta.
Stiamo avanzando lentissimanente. Improvvisamente il palombaro Marino mi dà un colpo sulla spalla e mi dice: tutto a dritta. Eseguo subito l'accostata  dalla parte indicata aumentando la velocità; però quasi immediatamente  l’apparecchio va a sbattere contro i galleggianti dell’ostruzione fissa interna: un po’ per effetto del suo moto ma molto perché trascinato dall'onda di prua di una nave che, raggiungendomi, entra in porto. Mi meraviglio sul momento di non aver sentito prima il rumore delle eliche dell'unità che sta sorpassandomi e  sento e vedo benissimo essere un caccia a fanali spenti e che va a circa 10 nodi; sento anche perfettamente rumori di catene sulla sua prora e intravedo della gente che traffica in coperta intenta ai preparativi per l'ormeggio.
Perdo per qualche momento il contatto con l'apparecchio di. DE LA PENNE; lo rivedo mentre subito dopo di me viene a sbattere anche lui contro i galleggianti presso i quali sono fermo, e poi lo perdo definitivamente di vista. Sono le 0030 del 19 dicembre.[teniamo presente che l’azione era iniziata alle 21 del giorno prima].
Il cacciatorpediniere Jervis
Mi guardo intorno e vedo verso l'uscita del porto che stanno per entrare altri due caccia a breve distanza uno dall'altro. All'estremità dell'ostruzione fissa interna vi è una boa con fanale bianco; presso di essa è ormeggiata un’ imbarcazione un po’ più grande di una nostra Diesel con i fanali accesi.
Rimetto in moto, e, profittando delle onde provocate dal secondo caccia che entra, entro anch’io in porto, sempre in superficie  passando ad una ventina di metri dall' imbarcazione di guardia.[!!!neretto mio],
Superata la boa terminale dell'ostruzione, dirigo prima per 120° e poi per 40° in modo da passare come previsto tra il frangiflutti interno ed i moli a terra.[osservazione: oltre al coraggio, alla forza fisica e alle capacità tecniche, per compiere questa azione ci volevano notevoli capacità di navigazione strumentale].
  Posso ormai sfruttare tutta la velocità del mio apparecchio. Sulla sinistra, affiancati ai frangiflutti, osservo due incrociatori leggeri con una mimetizzazione differente da quella delle nostre unità; sulla dritta, ormeggiato ad uno del moli a terra, un piroscafo carica cassette e sacchi che giudico di viveri, illuminato a giorno da potenti cappelloni [grossi fari]che diffondono una discreta luce per tutto il porto.
All'estremità del frangiflutti, dalla parte di fuori, è ormeggiata di punta la nave da battaglia francese LORRAINE.
Successivamente scorgo le sagome di altre due grosse navi da guerra alle boe, una di poppa all'altra; dalla posizione e dalla loro mole le riconosco per le due navi da battaglia, obbiettivi di DE LA PENNE e MARCEGLIA. Passo tra di esse e dirigo per N.E. alla ricerca della portaerei in uno  dei suoi due normali posti d'ormeggio; la portaerei non neanche qui (Da informazioni avute in seguito risultò the essa era passata da Suez diretta in Oceano Indiano il   giorno prima della nostra azione).
Torno indietro per levante e poi dirigo a Sud per recarmi nella zona delle petroliere: le rotte che seguo per ricercare la portaerei e poi per recarmi nella zona delle petroliere vengono ad essere delle spezzate a causa delle continue accostate che devo fare per passare dalla parte non in luce, rispetto al piroscafo illuminato, di tutte le navi da guerra e mercantili che incontro nella navigazione.
Ad un certo memento mi trovo davanti, abbastanza vicina, la prua di una grossa nave da guerra che mi sembra una nave da battaglia; non l'avevo vista prima, a maggior distanza, a causa dello sfondo oscuro a terra. Da dove sono distinguo benissimo in controluce le due navi da battaglia obbiettivi di DE LA PENNE e MARCEGLIA, e quindi sono sicuro che quella che ho davanti non è una di quelle. Ritengo mio dovere attaccarla, anche se così facendo vengo a disobbedire all'ordine di operazione ricevuto.
Preparo per l'attacco l'apparecchio variandone l'assetto in mode da navigare con la testa di esso qualche centimetro sotto il pelo dell'acqua e con l'elica ad un paio di metri di profondità onde evitare movimenti di liquido e  quindi fosforescenze in superficie. Eseguo l'avvicinamento sulla dritta, navigando in prima tacca. Non trovo l'ostruzione di prima e vedo che manca anche quella laterale di dritta. Quando, ormai vicinissimo, sto per prendere gli ultimi rilevamenti per l'attacco, mi accorgo che i cannoni delle torri non devono essere di calibro  superiore ai nostri da 152 e che quindi ho da fare con un incrociatore e non con una nave da battaglia. Evidentemente la breve distanza d'avvistamento e lo stare cosi basso sull'acqua mi hanno ingannato facendomi vedere le cose più grandi di quello che sono.
Un po’ a malincuore .decido di rinunziare a questo bel bersaglio già a portata di mana, e di andare alla ricerca della grossa petroliera. Per allontanarmi dall'incrociatore preferisco ormai, data la brevissima distanza a cui mi trovo e 1’assoluta tranquillità che regna a bordo, di scorrergli lungo il fianco e di uscire di poppa. Cosi mi porto sotto bordo e, con il timone leggermente indietro, navigo lungo il  fianco della nave tenendomi sempre scostato con la mano. Il mio palombaro tocca anche lui la scafo e, vedendo che io proseguo, mi chiede sotto voce perché non ci fermiamo ad attaccare. Gli rispondo che abbiamo ordine di attaccare una petroliera.
Quando siamo circa sotto il barcarizzo di poppa sono costretto a fermarmi perche dalla coperta viene accesa una lampadina tascabile che  proietta il suo fascio di luce in mare. Mi sembra di non aver fatto alcun rumore di sciacquio e non aver mai urtato contra lo scafo, perciò sto tranquillo. Copro con il petto e con le braccia le fessure dei portellini oscuratori degli strumenti e resto ben fermo. Anche Marino è immobile. Decido mentalmente di manovrare la rapida solo se sono sicuramente scoperto perché temo che il suo gorgoglio d'aria possa rivelare la presenza di apparecchi subacquei e far dare l'allarme in porta compromettendo irrimediabilmente sia la mia missione che quella dei miei due compagni. Ho diverse volte l'impressione che il fascio di luce mi sia addosso: dico l'impressione perché non ho mai provato ad alzare la sguardo alla sorgente luminosa sia per non dover fare il minima movimento, sia per timore che gli occhiali della maschera facessero da specchio. Può benissimo darsi che sia stato solo ma mia impressione e che la luce non sia mai stata diretta su di noi; può darsi che il mare, in quel punto calmo come olio, abbia fatto specchio e che di la luce riflessa sia passata sopra l'apparecchio, che era a qualche centimetro  sotto il pelo dell’ acqua, senza illuminarlo.
Credo che la luce sia rimasta accesa un minuto o due. Aspetto ancora un paio di minuti dopo che si è spenta, e quando mi sembra che tutto sia tornato tranquillo rimetto in moto e mi allontano lentissimamente. Quando sono a circa 50 metri dalla nave, aumento di velocità e dirigo in quarta tacca verso la zona delle petroliere.
La M/T Sagona
 ( da https://www.krigsseilerregisteret.no/no/skip/24837/)
Dopo circa un quarto d’ ora di navigazione sono costretto a togliermi la maschera a causa di un po’ di mal di testa e di un forte urto di vomito. Respirando aria pura mi passa il mal di testa mantra l’agitazione di stomaco diminuisce soltanto; mi accorgo solo allora di non aver più lo stringinaso: molto probabilmente quindi questi disturbi sono stati causati dal fatto di aver respirato col naso anidride carbonica per un periodo di tempo che non posso precisare non essendomi accorto dell’istante della perdita dello stringinaso. Può  anche darsi che siano stati causati da cattiva deputazione della calce s(..?)ta o dalle due cause insieme.
Mi faccio dare un altro stringinaso da Marino e provo a rimettere la maschera: mi è impossibile perché  lo stringere il baccaglio fra i denti mi fa tornare fortissimo l'urto del vomito. Continuo allora senza maschera verso la zona delle petroliere finché ne vedo una grossa e carica che apprezzo sulle 16.000 tonnellate.[era la petroliera Sagona] Provo ancora una volta a rimettere la maschera ma non riesco a portare il boccaglio in bocca. Decido allora di eseguire l'attacco in superficie.
Una pagina della relazione Marceglia
Mi porto a poppa della petroliera e ordino a Marino di portarsi sotto la carena e stabilire un collegamento il più verso prora possibile. Marino si meraviglia perche non eseguiamo l’attacco con l'apparecchio, come in tutte le nostre esercitazioni. Non volendo accennargli del mio disturbo non perché abbia timore che si impressioni ma per farlo lavorare tranquillo, gli rispondo che voglio restare in superficie per vedere se per caso sulla petroliera si mettono in allarme. Marino prende allora l'ascensore di 40 metri e fa un tentativo per portarsi sotto carena. Non vi riesce perche troppo leggero: lo appesantisco con i due sergenti, lui riprova e questa volta riesce. Quando mi dà il pronti lo richiamo a galla e gli dico di staccare la testa, avviare le spolette e portarla all'altro capo del collegamento. Marino esegue es(attamente?); sono le 0255. Quando sta per ripartire per trascinare la carica lungo la cima di collegamento, mi assicuro che gli orologi delle spolette sono (…?) io ritorno sull’apparecchio.
Mentre Marino sta lavorando sotto carena, una petroliera pia piccola si affianca alla nostra. Chiedo a Marino con i soliti segnali convenzionali e lui mi risponde che va bene. Quando, data volta alla carica, to(..)la, mi dice che ha sentito dei rumori di elica e dei movimenti non for(..) acqua, ma che ha continuato ed ultimato il lavoro perche io non l'ho richiamato. Gli mostro allora la seconda petroliera e lui contento dice: Spero resti qui ancora per tre ore, così sarà pagata anche lei.
Ripartiamo per andare a depositare le quattro bombe incendiarie; l(….?)  mo, dopo averne avviate le spolette ad centinaio di metri dalla petroliera, a una ventina di metri una dall'altra.

[MISSIONE COMPIUTA!!]

Allora dirigo verso il molo o carboni, dove avevo cioè previsto di s(..?).
Ordino a Marino di distruggere il suo ed il mio autorespiratore che gli(..)
Giunto a terra ed accertatomi che non c’è nessuno dico a Marino di scen(dere,)
togliersi il vestito, tagliarlo in pezzi, buttarlo in mare ed aspettarmi.
Mi porto con l'apparecchio verso il largo e  quando credo di essere in un zona di mare piuttosto profonda, fermo ed eseguo una rapida immersione (senza?) maschera. Quando tocco il fondo il manometro di profondità marca 17m. [!].
Torno a  galla, avvio l'autodistruttore, appesantisco al massimo l'apparecchio e lo abbandono. Raggiungo a nuoto la banchina dove avevo lasciato Marino, prend(..?), mi tolgo il vestito e lo faccio tagliare a pezzi e gettare in mare.
Con Marino mi avvio allora per uscire dal porto ed entrare in città (ma alla?) barriera siamo fermati ed arrestati da alcune guardie di dogana e poli(..?)ne che chiamano anche un S.Ten. e sei militari della fanteria di Marina.
Veniamo condotti in un ufficio dove troviamo due tenenti della pol(izia gizia?)na che intraprendono ad interrogarci. Sono le 0545. Mentre rispondo alle domande che ml vengono rivolte nella maniera più evasiva ed inconcludente p(ossibile?) sopraggiunge un capitano di Fregata inglese e chiede al più anziano del due ufficiali egiziani di consegnarmi a loro. Questa rifiuta in mancanza di autorizzazione del proprio Governo dato che, avendoci riconosciuti come italiani del documenti trovati  nelle nostre tasche  asseriva che, non essendo l'Egitto in guerra con l'Italia aveva bisogno di speciali istruzioni [interessante questo particolare! L’orgogliosa polizia egiziana era gelosa della propria autonomia!]. Il Comandante inglese  avutane autorizzazione dall'Ammiragliato, richiede personalmente al Governo egiziano tali istruzioni ed ottiene che siamo consegnati a lui.
Il mio orologio subacqueo [per gli orologi subacquei rimandiamo alla nota 6] è sul tavolo assieme agli altri oggetti sequestrati  ed io non lo perdo d'occhio. Pochi secondi dopo le 0554 si sente una forte esplosione che fa tremare il caseggiato. Qualche momento dopo  mentre salivamo in macchina per seguire l' Ufficiale inglese  se ne sente una seconda più lontano e più tardi, mentre la macchina camminava,una terza.
Al Comando Marina di Ras el Tin subiamo un breve interrogatorio in termini abbastanza cordiali e poi veniamo avviati ai campi di concentramento per prigionieri di guerra del Cairo.
NOTE
1°) - Il mio 2° operatore, 2° Capo Palm. MARINO Mario si è perfettamente comportato sotto ogni riguardo. Sereno, calmo, preciso nell'eseguire i miei ordini anche nei momenti più difficili e nel portare a termine il  suo lavoro in condizioni diverse da quelle previste, mi ha dato tutto l'ausilio che sapevo di potermi aspettarmi da lui e che le sue qualità professionali ml facevano prevedere,
2°) - Efficienza del materiale:
Apparecchio n.222: perfetta.
Vestiti impermeabili: completamente negative.
Autorespiratore: quella di MARINO ha perfettamente funzionato. Altrettanto non posso asserire del mio dato il manifestarsi di disturbi  ai quali, come ho detto nella relazione,non so quale causa attribuire esattamente.

Li [manca luogo e data]
Firma di V. Martellotta


La firma di Martellotta in calce alla relazione


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De La Penne
Gli effetti dell’esplosione delle cariche poste da Marceglia e Marino sotto la Queen Elizabeth poterono essere visti da De La Penne che in quel momento si trovava in coperta della Valiant (già sbandata e appoggiata sul fondo per effetto dell’esplosione delle cariche). Così scrisse De La Penne:” Sono le 6 e un quarto (..) passano pochi secondi e anche la Queen Elizabeth salta. Si solleva dall’acqua per qualche centimetro e dal fumaiolo escono pezzi di ferro, altri oggetti e nafta che arriva in coperta da noi e sporca tutti quanti”. Sporchi ma probabilmente, ovviamente De la Penne e Bianchi, felici. Gli inglesi un po' meno, con le loro immacolate divise coperte di nafta. E, pensiamo, un po’ meno arroganti

I danni alla Valiant


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Infine una precisazione: SLC= Siluri a Lunga Corsa o Siluri a Lenta Corsa'? Stando a quanto leggiamo qui
https://www.altomareblu.com/siluro-lunga-corsa-slc-lino-mancini/  questi mezzi rivoluzionari che dopo Alessandria non lasceranno più dormire tranquilli i marinai inglesi nella loro navi alla fonda, quando furono progettati e costruiti nel 1935 da Tesei e Toschi furono chiamati Siluri a Lunga Corsa. Poi col tempo e l'uso, specie nel dopoguerra, la lettura dell''acronimo si modificò
APPENDICE I
Le conseguenze
Cosa successe "dopo"? Si venne a conoscenza del risultato del "colpo"?
Giudicate voi:
Relazione  danni
“Nelle ore pomeridiane del 19 un velivolo dell’Egeo riusciva a compiere un rilievo fotografico del porto di Alessandria da cui si rilevava che delle due navi una era affiancata da due sommergibili (? in realtà forse due imbarcazioni minori) la seconda da una grossa cisterna e due bettoline. Questa poi aveva tutte le artiglierie brandeggiate al traverso e sembrava leggermente sbandata sulla sinistra (..)
(..) Nei giorni successivi fu rilevato che nessuna corazzata nemica aveva preso il mare
(..) Il 6 gennaio  una nuova ricognizione fotografica constatò che una corazzata era ormeggiata di punta al molo del bacino in muratura, (..) la seconda unità trovavasi nel bacino galleggiante. Risultava pertanto evidente che almeno un’unità era stata danneggiata
Infine nel pomeriggio dell’8 gennaio  il servizio informazioni germanico comunicava che (..) entrambe le due corazzate risultavano danneggiate e che i sei operatori erano stati fatti prigionieri. La notizia era confermata anche da fonti giapponesi”

Quindi almeno dall' 8 gennaio si sapeva che la flotta inglese era in grande difficoltà per quanto concerne le navi da battaglia.
Ma non se ne approfittò.
Del resto durante la guerra Supermarina fu molto cauta nell’usare le grandi navi da battaglia contro grosse formazioni e, forse conscia della nostra inferiorità  nella tecnologia (radar), nella telemetria, nel munizionamento notturno  e della  carenza di addestramento al combattimento  notturno adottò (e fece adottare) un atteggiamento poco "aggressivo" (ma ovviamente questa è una mia opinione personale che vale quel che vale ) nei confronti delle squadre navali inglesi. 

Però molte  navi minori  (caccia e anche incrociatori) furono  usate come scorte e trasporti verso il nord Africa. Spesso attaccarono coraggiosamente formazioni molto più potenti nel tentativo di salvare i mercantili affidati alla loro difese, mercantili a loro volta spesso  destinati alla distruzione sulla “rotta della morte”.


Poi c’era anche Ultra, ma questa è un’altra storia.

Spartaco Schergat decorato di MOVM da Umberto di Savoia
(Taranto 1945)


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Per quanto riguarda i danni inflitti alla Queen Elizabeth ecco quanto scrivono   Alan Raven and John Roberts, British Battleships of World War II, Arms and Armour Press, Londra, 1976  (citati in http://www.regiamarina.net/detail_text_with_list.asp?nid=99&lid=2&cid=1)  I
The charge below Queen Elizabeth detonated under 'B' boiler room and blew in the double bottom structure in this area, and, to a lesser extent under 'A' and 'X' boiler rooms, upwards into the ship. Damage to the ship's bottom covered an area of one hundred and ninety feet by sixty feet and included both the port and starboard bulges. 'A', 'B' and 'X' boiler rooms, and the forward 4.5inch magazines flooded immediately, and 'Y' boiler room and several other compartments in the vicinity, flooded slowly up to main deck level. The boilers, and the auxiliary machinery, together with its electrical equipment were severely damaged by the explosion and subsequent flooding. The armament was undamaged. But all hydraulic power was lost, and the guns of the main and secondary batteries could have been used only at greatly reduced efficiency. The ship sank to the harbor bottom, but was raised and temporary repairs were carried out in the floating dock at Alexandria. She subsequently proceeded to the USA, where permanent repairs were carried out, between 6th September 1942 and 1st June 1943, at the Norfolk navy yard, Virginia. Queen Elizabeth was out of action for a total of seventeen and a half months.” che possiamo tradurre pressapoco così:
 "La carica sotto la Queen Elizabeth esplose sotto il locale caldaia "B" e si espanse nella struttura a doppio fondo in quest'area, e, in misura minore, sotto i locali caldaie "A" e "X", verso l'alto nella nave. I danni al fondo della nave coprivano un'area di centonovanta piedi per sessanta piedi e includevano deformazioni  sia a babordo che a tribordo  il porto che i rigonfiamenti di tribordo. Le caldaie "A", "B" e "X", e le riservette  anteriori da 4,5 pollici si allagarono immediatamente, e il locale caldaie "Y" e molti altri compartimenti nelle vicinanze si inondarono lentamente fino al livello del ponte principale. Le caldaie e i macchinari ausiliari, insieme alle loro apparecchiature elettriche, sono stati gravemente danneggiati dall'esplosione e dalle successive inondazioni. L'armamento non era danneggiato. Ma tutta l'energia idraulica è stata persa e le armi delle batterie principali e secondarie avrebbero potuto essere utilizzate solo con efficienza notevolmente ridotta. La nave affondò sul fondo del porto, ma fu sollevata e furono effettuate riparazioni temporanee nel bacino galleggiante di Alessandria. Successivamente proseguì negli Stati Uniti, dove furono effettuate riparazioni permanenti, tra il 6 settembre 1942 e il 1 giugno 1943, nel cantiere della marina di Norfolk, in Virginia. La Queen Elizabeth fu messa fuori combattimento per un totale di diciassette mesi e mezzo. "

Per quanto concerne la petroliera Sagona (7554 tonn., costruita in Olanda nel 1929, carica di 12000 tonn di nafta,  leggiamo ( http://www.warsailors.com/singleships/sagona.html  ) :“Most of her aft part was blown away, but nobody was injured, and her entire cargo of oil was intact (12 000 tons), so that when the incendiary bombs started to detonate a couple of hours later they found no fuel to ignite and did not cause the planned damage in the harbour
L'ultimo viagio della Sagona: partita da Haifa il 9, arrivata ad
Alessandria il 12 
La maggior parte della sua  poppa fu spazzata via, ma nessuno rimase ferito, e il suo intero carico di petrolio fu intatto (12000 tonnellate), così che quando le bombe incendiarie iniziarono a  esplodere un paio d'ore dopo non trovarono alcun combustibile da accendere e  non causarono il danno pianificato nel porto".

La Sagona rimase ad Alessandria come "nave bunker" per il resto della guerra.

La targa a Marceglia e Schergat all'idroscalo di Trieste
(da https://it.wikipedia.org/wiki/Spartaco_Schergat#/media/File:Marceglia_e_Schergat.jpg)



Appendice II


L'attacco degli incursori italiani nel porto di Alessandria divernne presto un "classico" e come tale studiato come esempio perfetto nelle Accademie Navali di molti paesi. Fra i diversi studi presentiamo qui alcuni frammenti della  tesi The Teory of special operations svolta  nel 1993 della Naval Postgraduate School  di Monterey (California) che all'impresa italiana dedica 63 pagine.







NOTE



1 )  ne furono tratti almeno tre film:  I sette dell'Orsa Maggiore (1953); The Silent Enemy (1958, The Valiant (1962).
(2) Convenzione di Ginevra, art. 7 " As soon as possible after their capture, prisoners of war shall be evacuated to depots sufficiently removed from the fighting zone for them to be out of danger.
Only prisoners who, by reason of their wounds or maladies, would run greater risks by being evacuated than by remaining may be kept temporarily in a dangerous zone.
Prisoners shall not be unnecessarily exposed to danger while awaiting evacuation from a fighting zone. The evacuation of prisoners on foot shall in normal circumstances be effected by stages of not more than 20 kilometres per day, unless the necessity for reaching water and food depôts requires longer stages. 

Appena possibile dopo la loro cattura, i prigionieri di guerra devono essere evacuati in campi sufficientemente lontani dalla zona di combattimento per essere fuori pericolo.
Solo i prigionieri che, a causa delle loro ferite o malattie, corrono rischi maggiori venendo evacuati piuttosto che rimanendo possono essere temporaneamente trattenuti in una zona pericolosa.
I prigionieri non devono essere inutilmente esposti al pericolo in attesa di evacuazione da una zona di combattimento. L'evacuazione dei detenuti a piedi deve essere effettuata in circostanze normali per fasi non superiori a 20 chilometri al giorno, a meno che la necessità di raggiungere i depositi di acqua e cibo richieda fasi più lunghe". (v. https://ihl-databases.icrc.org/applic/ihl/ihl.nsf/ART/305-430008?OpenDocumentConvention relative to the Treatment of Prisoners of War. Geneva27 July 1929).
Emilio Bianchi

3) La relazione di De La Penne sulle missioni (Gibilterra e Alessandria)  fu oggetto, anni dopo, di alcune puntualizzazioni da parte del suo “secondo uomo”, il palombaro Bianchi.
Per approfondire:
https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/12/19/torna-lo-scire-riemergono-le-polemiche.html?refresh_ce

Bianchi scrisse anche una lettera a De La Penne "contestandogli certe sue ricostruzioni e raccontando a sua volta la sua versione su come si era svolta la missione  (..) Nella stessa lettera gli contestava, anche, la ricostruzione da lui fatta della loro precedente missione a Gibilterra
https://www.altomareblu.com/decima-mas-alessandria/ dove si può vedere la lettera.
A quanto ho letto la lettera non avrebbe avuto risposta.

 Bianchi il 29 settembre  2004 (un po’ tardi, direi) fu nominato Grande Ufficiale Ordine al Merito della Repubblica Italiana a quanto abbiamo letto qui https://www.quirinale.it/onorificenze/insigniti/13256 .

Morì all'età di 103 anni a Torre del Lago (Viareggio) nel 2015.


5 ) In effetti erano stati scoperti, ma solo dopo aver collocato e armato le cariche. Portati a bordo della Valiant, e imprigionati in una profonda cala nel ventre della nave, si rifiuteranno di svelare la posizione delle cariche. Pochi minuti prima dell’esplosione, De La Penne avvertirà il Comandante per far sbarcare l’equipaggio. Lui però sarà lascito nella cala  e si salverà fortunosamente, come abbiamo letto nella sua relazione.
6) Quella degli orologi sequestrati è una vicenda che proprio non andrà giù ai nostri uomini. Trattandosi di effetti  personali la loro confisca fu così mal digerita che, quando nel  1987 Durand De La Penne (che aveva subito il medesimo “sopruso”) incontrò a Livorno Henry Brownringgs, figlio di Thomas, capo di Stato maggiore dell' ammiraglio Cunningham,  gli richiese il suo orologio. Ecco come la vicenda è ricordata in La Repubblica del 28 aprile ’87 “Ma il mio cappello di lana e il coltello dove sono finiti, li rivoglio, dice con voce ferma Durand de la Penne. Sono passati 46 anni ma l' ammiraglio non ha dimenticato. Oggi ha i capelli bianchi, è leggermente ingrassato. Non dimostra però 73 anni e ricorda benissimo quello che gli sequestrarono gli inglesi dopo la cattura, dopo che aveva minato la corazzata Valiant: un berrettuccio di lana fatto a mano dalla moglie, un coltello e l' orologio, un modesto e semplice Marvis ( marca a me sconosciuta: potrebbe essere Mavis o Marvin. Pensavo che gli incursori avessero il Panerai Luminor)L' orologio è tornato in Italia, l' ha riportato Henry Brownringgs, figlio di Thomas, (..) Thomas Brownringgs, capo di Stato Maggiore dell' ammiraglio Cunningham, comandante delle forze navali del Mediterraneo, tentò di restituire quell' orologio a de la Penne nel 1946 ma lui lo rifiutò, sdegnosamente. Se lo tenga, disse seccato. Ma quei giorni sono ormai lontani, la guerra e l' eroico assalto al porto di Alessandria fanno parte della storia. L' ex ammiraglio ora siede sul palco del cinemino dell' Accademia navale di Livorno insieme a Henry Brownringgs che è arrivato in Italia per restituire qull' orologio. (https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/04/28/dopo-46-anni-gli-inglesi-celebrano.html?refresh_ce).
L'episodio dell'orologio preso viene ricordato anche sulla scheda Wiki dedicata alla Valiant (https://it.wikipedia.org/wiki/HMS_Valiant_(02) ) in questi termini:
“Durand de la Penne fece chiamare il comandante della Valiant, Charles Morgan, e lo avvertì dell'imminente esplosione, permettendo all'equipaggio inglese di salvarsi. Nell'occasione gli Inglesi rubarono l'orologio agli Italiani. Si trattava di modello Luminor della Panerai".
Circa l'interrogatorio a bordo della Valiant abbiamo trovato questa curiosa notizia relativa alle "difficoltà linguistiche" :  
  "My faher Trevor Williams took an active role with regards to the captive Italians, what he told me was a call went out for anyone who could speak Italian for there was nobody on board to communicate with the captured Italians. The only one on board who could communicate was my father. He told the officer that he did not speak Italian or French but could write French, so whoever was in charge got my father to write a question using French and one of the Italians could understand what was being written and replied also writing French and my father translated. 
Mio padre Trevor Williams ha assunto un ruolo attivo nei confronti degli italiani in cattività, quello che mi ha detto è stata una telefonata per chiunque potesse parlare italiano perché non c'era nessuno a bordo per comunicare con gli italiani catturati. L'unico a bordo in grado di comunicare era mio padre. Disse all'ufficiale che non parlava italiano o francese, ma sapeva scrivere il francese, quindi chiunque fosse incaricato indusse mio padre a scrivere una domanda usando il francese e uno degli italiani capì cosa si stava scrivendo e rispose anche scrivendo francese e mio padre traduceva" ( https://ww2db.com/battle_spec.php?battle_id=268)
7) Martellotta in questo sarà più fortunato, perché mentre veniva condotto via dagli inglesi su una camionetta sentì distintamente le tre esplosioni
8) Schergat, nell'ottobre 1944 rientrò in Italia per partecipare alla guerra di liberazione nel Gruppo “Mariassalto”. Messo in congedo nel novembre 1945, fu iscritto nel Ruolo d'Onore nel grado di 2° capo palombaro. Nel dopoguerra  si occupò di recuperi navali, fece il marinaio in uno yacht club di Trieste e, infine, trovò impiego come custode dell’Università Giuliana. .
Leonello Oliveri
Proprietà letteraria riservata
Riproduzione vietata

cartolina del 1944 (E. Montagnani)