Leonello Oliveri
Il 18 dicembre 1941 sei S.L.C.
("siluri a lunga corsa", chiamati anche “maiali”)
Maiale-menselijke torpedo-onderzeeërrenegade (da Wiki Olanda) |
Sul primo mezzo (s.l.c. 221)
c’erano Durand de la Penne e il capo palombaro Emilio Bianchi, sul secondo (s.l.c. 222)
Vincenzo Martellotta e il capo palombaro Mario Marino, sul terzo (s.l.c 223) Antonio
Marceglia e il sottocapo palombaro
Spartaco Schergat.
Il primo colpì e danneggiò
gravemente la corazzata Valiant, il secondo affondò la petroliera Sagona danneggiando anche il cacciatorpediniere Jervis (il caccia che aveva partecipato alla distruzione del convoglio italiano Tarigo nell'aprile del '41), il terzo, mise fuori combattimento la corazzata Queen Elizabet.
Sei uomini in quattro ore
avevano fatto più danni alla Marina di Sua Maestà di quante ne avesse fatto fino
ad allora l’intera Marina Italiana: la Valiant fu portata in Sud Africa per le riparazioni, la Queen addirittura
negli Usa: entrambe rimasero fuori servizio a lungo, la Valiant per 6
mesi, la Queen per 17.
Tutti e sei furono decorati di medaglia d’oro al
valor militare. Quella di De La Penne gli fu appuntata sul petto (forse ancora nel ’44) proprio dal comandante inglese della Valiant,
sir Charles Morgan, colui che lo aveva fatto rinchiudere in una cala della
corazzata per obbligarlo, senza successo, a dire dove era stata collocata la
carica. (Piccola osservazione: la Convenzione di Ginevra vieta di esporre volontariamente un prigioniero di guerra ad un potenziale pericolo: se a farlo fosse stato un ufficiale tedesco...)(2).
Delle tre missioni quella che
divenne poi più famosa fu quella di De La Penne, che divenne in seguito Deputato e
Ammiraglio. Fu però anche quella meno "perfetta", in quanto i due uomini vennero sorpresi
ancora sotto la nave (ma dopo aver collocato le cariche, che
esplosero regolarmente) (3).
Quella invece veramente perfetta fu la missione di
Marceglia e Schergat, che riuscirono a sistemare la cariche, uscire dal porto, approdare, sopravvivere alcuni
giorni fra Alessandria e Rosetta prendendo treni, andando in albergo e al bar.
Furono poi catturati grazie ad
un errore del Servizio di Informazioni della nostra M.M., che li aveva forniti di denaro… che non
aveva corso legale in Egitto.
Di quella missione avevo letto
in passato la relazione che ne fece Durand De la Penne, (leggibile per es. qui http://www.cvv.it/wp-content/uploads/2017/05/CSTN-54S.pdf ) mentre non conoscevo
quelle degli altri due equipaggi.
Ora ho trovato, fra le carte dell’OSS (il Servizio Segreto statunitense, antenato della CIA) desecretate nel 2005, sia il testo della
relazione fatta da Marceglia sia quella, firmata, di Martellotta, (4).
Le relazioni sono, ritengo, sicuramente note agli storici e, probabilmente, sono già state pubblicate. Postandole qui però sono più facilmente accessibili: inoltre i documenti che qui presento sono di pubblico dominio (Declassified and
Approved for Release by the Central Intelligence Agency c’è scritto sul
faldone) e le relazioni stesse mi sembrano veramente interessanti in quanto contengono non solo il racconto delle faticose
fasi dell’avvicinamente al bersaglio e dell’affondamento vero e proprio, ma
anche le vicissitudini vissute da
Marceglia e Schergat nei giorni successivi, fino a quando furono catturati
grazie all’errore, cui ho fatto cenno sopra, commesso da chi li
aveva mandati.
N.B. in corsivo le relazioni, in normale i miei commenti. A causa di difetti nelle fotocopie,
alcune parole al termine delle righe
risultano tagliate e non sempre ricostruibili.
La relazione di Martellotta ha la firma, senza data; la relazione di Maceglia ha la data (15 maggio '44) ma non la firma.
La relazione di Martellotta ha la firma, senza data; la relazione di Maceglia ha la data (15 maggio '44) ma non la firma.
GENERAL MAS
Alessandria Dicembre 1941
Cap.no G.N. Antonio Marceglia
Declassified
and Approved for Release
by
the Central Intelligence Agency
date: 2005OPERAZIONE ALESSANDRIA 19 - 12 - 1941
date: 2005OPERAZIONE ALESSANDRIA 19 - 12 - 1941
RELAZIONE CAPITANO G.N. Antonio MARCEGLIA
APPARECCHIO: S.L.C. 223
OPERATORI: Cap. G.N. Antonio MARCEGLIA
Palomb. Spartaco
SCHERGAT
La relazione ha inizio dal momento in cui il
mio operato diventa autonomo e termina all'atto del mio internamento. Per la
parte che precede riferirsi alla relazione del Ten. di Vasc. DE LA PENNE.
I cilindri per il trasporto dei Maiali sul somm. Scirè |
[ Per eliminare
eventuali incursori venivano
regolarmente scaricate nel bacino portuale cariche di profondità]
Rimetto in moto e mi
allontano percorrendo lentamente un ampio arco intorno alla testata del molo. I
fanali sul molo e sulle ostruzioni sono accesi, si sentono delle voci, un uomo
con la lampada a petrolio si muove sulla testata.
Durante la navigazione
vengono lanciate altre tre cariche subacquee: l'effetto è crescente e la
strizione alle gambe mi evita di cadere un'altra volta in errore.
Messa in mare di un SLC |
Verso le 0040 sento un
leggero fruscio a poppavia sinistra mi volto e vedo la sagoma grigia di un
cacciatorpediniere che mi sta rapidamente
superando. Gli uomini sul castello sono al posto di manovra, il C.T. passa ad una distanza di circa 15
metri [!], accosto a dritta per allontanarmi; cercando contemporaneamente di
diminuire le dimensioni del mio bersaglio.
Respiro sempre all'atmosfera,
il mio secondo uomo ha già iniziata la respirazione in ossigeno ed è
completamente rovesciato sulla dritta dell'apparecchio in modo da non uscire
dall'acqua.
[era questa la condizione che
rendeva particolarmente faticoso il viaggio al secondo uomo, obbligato a
respirare quasi sempre con le bombole, e l’apparecchiatura subacquea personale non
era un gran ché, specie la muta, tutt’altro che stagna e assai rigida]
Sopraggiunge un altro C.T., continuo
la rotta di allontanamento per portarmi a riparo dai galleggianti
dell'ostruzione fissa interna. Raggiungo l'ostruzione al passaggio del 3° C.T.
Detta ostruzione è composta da galleggianti sferici di circa 1 metro alla
distanza di 4-5 metri uniti fra di loro
da un cavo metallico molto flessibile. Passo questa ostruzione e la
seconda che dista circa 20 metri in
superficie, penetro nel bacino compreso fra ostruzioni e frangiflutti del
legname e con rotta 90° procedo al riconoscimento del frangiflutti.
Durante questa navigazione
incontro uno dei nostri apparecchi il quale però non si accorge della mia
presenza, verrò in seguito a sapere che è quello del Cap. MARTELLOTTA.
Proseguo a mezza forza con
rotta 20° nel bacino compreso fra il frangiflutti interno e i moli dello scalo
legnami. Avevamo scelto queste ro(tte?) per avere il massimo numero di
riferimenti possibili a terra.
Mi tengo per quanto è
possibile sull'asse di simmetria di detto bacino perche al frangiflutti del
legname sono ormeggiati 2 incrociatori, sui quali però non scorgo segno di
vita.
Al lato Nord del molo più
settentrionale dello scalo legnami è ormeggiato un piroscafo che sta scaricando
o caricando facendo largo uso di (cap)pelloni [grossi fari] che
illuminano diffusamente lo specchio circostante. Sono così (costret?)to
nell'ultimo tratto a tenermi leggermente più vicino al frangiflutti.
Avvisto la sagoma della nave
da Battaglia francese "LORRAINE” (..) scelgo a terra un punto di riferimento
sulla rotta 40° che è la mia rotta d'attacco. Detto riferimento è costituito da
una fila di luci azzurre, forse le finestre di un’ officina o di un magazzino.
Queen Elizabeth |
Dopo 5 minuti di navigazione
avvisto di prora dei galleggianti d’ostruzione in gruppi di 4 a forma sferica
di diametro non superiore a (..) centimetri..
Accosto a sinistra
portandomi parallelo a questa ostruzione e fe(..?).
L'ostruzione ad una prima
analisi risulta costituita da una rete di c(..): preferisco non
scavalcarla, non conoscendone né gli scopi né l'esatta (costi)tuzione.
Il porto di Alessandria di notte illuminato dai riflettori |
Mi porto in corrispondenza
al fumaiolo e indosso la maschera.
Alle 0300 mi immergo ad una
distanza dal bersaglio di circa 30-40 metri.
L'assetto dell’apparecchio è
pesante, la sua velocità di caduta alta via via che si scende né mi riesce di
fermarlo con i timoni forse perché non è abbastanza abbrivato in avanti. Sento un
acuto dolore all'o(rec)chio, finalmente
tocchiamo fondo a 13 metri sollevando una nuvola di fango.
Incomincio a strisciare sub
fondo con rotta 180°; il rumore di un motore alternativo, probabilmente la
centrale elettrica di bordo si fa sempre più forte via via che ci avviciniamo.
Dò aria alla cassa
emersione, l'apparecchio tarda a staccarsi dal fondo, finalmente si muove e
salendo sempre più rapidamente urta con violenza contro lo scafo della nave.
Sono in corrispondenza
all'aletta di rollio di dritta alla quale assicuro l'apparecchio con un
sergente (morsetto). Mando il palombaro (dal)l'altra aletta per eseguire il
collegamento. Nella suddivisione del lavoro avevo assegnato al Pal(ombaro)
SCHERGAT questa fase avendo verificato la m(ia?)scarsa capacità di
mantenere l'equilibrio e la direzione sott'acqua di notte.
Il primo tentativo non
riesce, me ne accorgo dall'andamento del cavetto che ci unisce. SCHERGAT
ritorna e gli ordino di ritentare.
Un operatore della Xa Mas |
Termino il lavoro da solo:
porto la testa in corrispondenza alla chiglia della nave, l'assicuro con la cima
al cavetto ad una distanza di un metro e mezzo dallo scafo e metto in moto le
spolette. Sono circa le 0325 [la partenza dei S.L.C. era avvenuta alle 21 del giorno prima: sono
già 6 ore di lavoro in condizioni durissime] Ritorno all'apparecchio, allago
la cassa emersione, mi stacco dalla nave e ricado sul fondo.
Ricomincio a strisciare sul
fondo. Le condizioni del mio secondo uomo si sono fatte quanto mai precarie, mi
fa ripetuti segni di salire, finalmente do aria allä cassa emersione.
La salita diventa agitata,
cerco di rallentarla allagando parzialmente l'emersione ciò nonostante
usciamo dall'acqua in mezzo ad tin forte ribollio.
Da bordo si sono accorti, un
riflettorino da poppa illumina lo specchio d'acqua dal quale emergiamo.
Ficchiamo la testa sott'acqua e aspettiamo. Dopo un minuto è nuovamente calmo.
Riprendo in senso diverso le
rotte d'arrivo. Passando di prora alla nave scorgo a proravia della nave da
Battaglia "VALIANT,, una luce puntata sull'acqua e mi sembra di vedere
un'imbarcazione. Forse qualcosa che non va per i miei compagni (5).
Ad un centinaio di metri
dalle ostruzioni della nave, fermo, ci leviamo le maschere e mettiamo in moto
le spolette della bombe incendiarie. Proseguo con rotta 220°, oltrepasso il
piroscafo da carico poi accosto leggermente a sinistra per riconoscere la
costa, mi trovo così a navigare a un certo punto nelle acque fetide dello
scarico di una cloaca.
Oltrepasso lo scalo legnami;
raggiungo la banchina del cotone e finalmente riconosco la spiaggetta del
macello. Avevo scelto questa spiaggetta come punto di sbarco perche' si trovava
fuori della cinta doganale del porto che sapevo fortemente sorvegliata.
Mi allontano dalla costa per
portarmi in acque profonde, ci leviamo i respiratori, li sventriamo e
affondiamo, appesantisco l'apparecchio, metto in moto l'autodistruttore e lo
affondo. A nuoto dirigiamo lentamente verso terra.
Alle 0430 circa tocchiamo
terra, ci spogliamo sotto la carena di una barca in secca, nascondiamo i
vestiti sotto dei sassi, perché non è prudente gettarli in mare che in quel
punto è poco profondo, indi ci avviamo a cercare un'uscita.
[la missione è
perfettamente riuscita: dalle 21 alle 0430: quasi 8 ore di lavoro in condizioni estreme]
Troviamo un muro e lo seguiamo finché troviamo
una porta che è aperta. Stiamo per varcarla quando siamo fermati da un arabo
che stava seduto dietro la porta e di cui non ce ne eravamo accorti.
Attraversiamo uno spiazzo probabilmente di raccolta del bestiame e finalmente
raggiungiamo la strada asfaltata che va verso Alessandria.
Dopo pochi metri venimmo
nuovamente fermati da un soldato sudanese di guardia ad un capannone. Gli parlo
in francese, che non capisce: finalmente chiama un'altra sentinella di guardia
più avanti, credono che siamo marinai francesi che abbiamo perduto la strada e
ci indicano la via per l'imbarcadero. Proseguiamo tenendoci vicino alle rotaie
del tram per non fare altri brutti incontri.
Verso le sei incomincia ad
albeggiare, rovesciamo i polsi delle maniche per nascondere i galloni e il
collo all'interno per nascondere le stellette.[Per evitare di essere fucilati in caso di arresto, tutti e sei gli incursori erano in divisa]
Alle 0615 circa passando sul cavalcavia che
attraversa il tronco ferroviario che entra nella zona portuale sentiamo uno
scoppio, piuttosto leggero. Le navi non sono visibili.
Alle 0640 arrivo alla
stazione ferroviaria, ci rechiamo al bar per rifocillarci e riscaldarci. Siamo
bagnati ed abbiamo sul viso i segni della notte passata in acqua.
[e l’immagine degli Incursori della Marina che dopo aver affondato
una corazzata inglese si recano al bar per prendere un caffè è
eccezionale!!]
Al momento di pagare
presento una delle banconote da 5
sterline che ci erano state date, il cameriere non conosce la moneta; si reca all'Ufficio
militare della stazione e agli sportelli dei biglietti ma non possono
cambiargliela. La valuta inglese già da tempo non ha corso in Egitto;
[ottimo esempio della
sagacia del nostro Servizio Informazioni!!] e il cambio è autorizzato solo
nelle banche previa riconoscimento dell'individuo. Le banche a quell'ora sono
chiuse. Prendo una carrozzella e passo da
vari cambiavalute e dall'agenzia Cook ma tutti rifiutano di cambiarmi la
banconota, finalmente all'angolo di una piazza trovo un cambiavalute ambulante
che mi da 350 piastre.
Pago il bar, la carrozza,
altre mance, intanto si è fatto tardi ed il treno per Rosetta è già partito, il prossimo parte alle 16.
Lo schema di ricupero degli
operatori era il seguente: un Smg. al Comando del C.C. LOMBARDI si sarebbe
trovato nelle notti del 24 e 26 dicembre dalle
00 alle 0300 quindici miglia a nord della bocca del Nilo a Rosetta. Gli
operatori avrebbero dovuto procurarsi il mezzo per raggiungere ii sommergibile. Il riconoscimento sarebbe avvenuto a voce. [Si contava sulla capacità italiana di arrangiarsi, o, più probabilmente, era un modo per dare almeno una labile speranza di recupero?] INella mattinata ci rechiamo
sulla sponda del canale Mamoddieh dove ci stendiamo al sole ad asciugare noi e
i quattrini.
Da R.A. Burt, Brish Battleships 1919-45 |
L'aver scelto la 3"
classe mi permette di evitare un controllo da parte della polizia.
Verso le 19 arrivo a
Rosetta, la cittadina è buia non solo per l'oscuramento ma anche per l'assenza
dl luce elettrica. Seguo la corrente del viaggiatori che esce dalla stazione.
Ad un negozio. di barbiere chiedo di indicarmi un albergo; un garzone s'offre
di accompagnarmi ma ho fatto pochi passi che vengö fermato da un soldato
egiziano armato di fucile e baionetta e invitato a seguirlo all'Ufficio di
Polizia. Là vengo interrogato da un funzionario civile che per fortuna conosce
solo l'inglese. Gli racconto che siamo due marinai francesi, venuti a passare la
fine settimana a Rosetta. Ci chiede come mai siamo sprovvisti di documenti,
anche del pass per entrare ed uscire dal porto di Alessandria, gli spiego che
non avevamo ritenuto necessario portarli.
Alla fine si accorge che
abbiamo ancora quattrini e si offre di portarci a mangiare e poi all'albergo.
Ci fa spendere molto,ma per lo meno anche questa volta ce la caviamo.
Prima di andare a dormire
affido al poliziotto una banconota da 5 sterline; avendo egli affermato che
forse all'ospedale inglese gliela avrebbero cambiata.
La camera dove dormiamo ha
come uniche suppellettili 2 letti costituiti da un tavolaccio e due imbottite
senza lenzuola.
Al mattino lo stesso
poliziotto della sera viene a svegliarci e usciamo con lui a passeggiare. Non
ha cambiato la banconota perchè gli offrivano solo 3 lire egiziane.
Per stornare i suoi sospetti
risaliamo il corso del Nilo poi ad un
certo momento ml libero dal poliziotto
regalandogli una mancia.
Invertiamo direzione e
scendiamo verso la foce dove dovrebbero trovarsi delle barche da pescatori,
delle quali potremo eventualmente impadronirci.
Rosetta è distante 5 Km. dal
mare, ne percorriamo circa 2 lungo la strada che fiancheggia la riva sinistra
del Nilo. Poco dopo siamo fermati da una camionetta con una ventina di uomini
della polizia costiera egiziana che ci chiedono le generalità. Sono poco
persuasi ma ci lasciano andare ordinandoci di ritornare sui nostri passi. Sono
sempre assillato dal bisogno di danaro. Dobbiamo vivere altri 6 giorni, non
solo, ma nell’eventualità di non trovare il sommergibile ho in progetto di
continuare a vela fino a Creta e per far questo i vogliono almeno 10 giorni di
viveri.
In paese cerco di nuovo il
poliziotto deciso a cambiare la moneta anche ad un cambio cosi sfavorevole.
Ritorno all'Ufficio di Polizia ma non riesco a ricordarne bene il nome.
Ci compriamo qualcosa da
mangiare e andiamo a consumarla sotto la tettoia di una specie di Buffet non
lontano dal Nilo.
Verso le 2 del pomeriggio
ripassa la camionetta del mattino questa volta si fermano e ci invitano a
salire. Ci portano ad un posto di polizia in mezzo alla campagna e dopo alcune
telefonate, di nuovo a Rosetta. I poliziotti non conoscono ii francese e si
servono per interprete di un europeo che poi saprò essere di origine ungherese.
Questi cerca di trarmi dai guai, sebbene abbia capito che c'è qualcosa di poco
chiaro, ma non riesce.
Le due corazzate fotografate dalla ricognizione italiana |
Durante mi perquisizione mi
viene sottratta una catenella d'oro con medaglietta [!]e ci
vengono sequestrati orologi subacquei (6)
e valuta.
Ad Alessandria veniamo
portati al Comando della polizia Egiziana dove già sanno di che si tratta
avendo catturato 2 giorni prima il Capitano MARTELLOTTA e veniamo consegnati
agli inglesi che ci trasportano in un forte non lungi dalla stazione e sede di
un Comando militare. Una vettura della marina con scorta di fucilieri ci porta
a Ras El Tin al Comando Marina. Un Ufficiale interprete mi chiede dove abbia
lasciato l’ apparecchio. Al mio rifiuto di rispondere non insiste. Ad una
parete vedo un piano degli ormeggi con annessa specifica delle navi. Vengo cosi
a sapere che il mio bersaglio è la
"QUEEN ELIZABETH" e che - I'altra è la "VALIANT".
Esplosione nel porto di Alessandria (David Ralph Goodwin, RAN) |
Dopo poche ore parto per il
Cairo dove vengo trasportato al campo di interrogazione -di Alessandria, dove
trovo i miei compagni.
Il giorno 24 dicembre vengo
interrogato per 2 ore. Le domande vertono sopratutto su nostri supposti appoggi
a terra e relativi segnali e su particolari tecnici dell'apparecchio, piuttosto
ingenui data l'ignoranza sull'argomento da parte dell'interrogatore.
Ad alcune domande rifiuto di
rispondere, ad altre rispondo con delle menzogne, rispondo solo a quelle di
nessuna importanza nei riguardi dell'organizzazione e del materiale. Cerco di
avere notizie dei danni prodotti senza riuscirci (7).
Il giorno 30 vengo trasportato al Campo 321 in Palestina dove ha inizio la mia
vera vita di prigionia di guerra.
Comandanti dei campi nei
quali ho vissuto:
Campo 321 - fino all'agosto 1942 T.V. De La Penne
" 321
" "dicembre " Col. A.A. De Silvestro
" 24 India " " Marzo 1943 Col. Ftr. Di Meo
“ 24 "
“ giugno " . Col. Ftr. Vinai
! 27 " "- " agosto "
Col. S.M. Vernia
"
27 " " febbraio 1944 Col. Art. Ninni
OSSERVAZIONI E PROPOSTE
Spartaco Schergat |
Li 15 maggio 1944
IL CAPITANO G.N.
F/to (Antonio MARCEGLIA)
[Manca la firma autografa]
**********************************************************************
Ed ecco la relazione del cap.no Martellotta
GENERA MAS
Cap. N.A. Vincenzo Martellotta
OPERAZIONE ALESSANDRIA 18 DICEMBRE 1941
RELAZIONE DEL CAPITANO A.N. SPE. Vincenzo
MARTELLOTTA
Apparecchio n.° 222
Equipaggio 1° operatore Capitano A.N. SPE. Vincenzo
MARTELLOTTA
2° operatore 2° Capo
Palombaro Mario MARINO
Relazione cronologica.-
A bordo del Sommergibile
SCIRE’ alle ore 16,30 del 18 dicembre
1941
ricevo dal Comandante del Sommergibile stesso il seguente ordine di operazione:
"Attaccare una grossa petroliera carica e disporre nelle immediate
vicinanze quattro bombe incendiarie".
Vincenza Martellotta |
La segnalata presenza nel
porto di Alessandria di 12 petroliere cariche per complessivo di circa 120000
tonnellate di nafta, rilevava esaurientemente la grande importanza del’ ordine
ricevuto; l’incendio che poteva svilupparsi sarebbe stato di proporzioni tali
da provocare la completa distruzione del porto stesso con tutte le unità
presenti e di tutte le sue installazioni. Tuttavia, non posso fare a
meno di rispondere: "Comandante io obbedisco; però mi permetto di farle
presente che sarebbe state ambizione mia e del mio palombaro attaccare una nave
da guerra”.
I1 Comandante accetta questa
mia osservazione con un sorriso, e per accontentarmi, poiché sapeva del
probabile rientro in porto di una nave portaerei, modifica come segue il
precedente ordine di operazione: “Ricercare nei suoi due siti di ormeggio
abituali la nave portaerei ed attaccarla in caso di ritrovamento; in case
negativo tralasciare qualsiasi altro bersaglio costituito da unità militari ed
attaccare una grossa petroliera carica disponendo nelle sue immediate vicinanze
le quattro bombe incendiarie".
Alle 20,30 del 18 dicembre
fuoriusciamo dal Sommergibile in affioramento. Indi il sommergibile esegue la manovra
per posarsi sul fondo; durante questa avverto un dolore alle orecchie che però
scompare al termine della discesa.
Il battello, posatosi sul
fondo, rimane leggermente sbandato sulla dritta; questa circostanza mi procura
delle difficoltà nell’ apertura del portello del cilindro contenente il mio
apparecchio, situato appunto a poppa dritta. Tutti gli sforzi del mio palombaro
per far compiere al portello la complete rotazione sulla cerniera, non riescono
a farlo ruotare più di una trentina di gradi. Chiedo ora alla riserva S. Ten. Medico
SPACCARELLI di venire ad aiutarmi; e cosi, in due, sempre però con molto sforzo
riusciamo ad aprirlo completamente, credo provocando qualche rottura. Come
infatti seppi alcuni mesi dopo, il sommergibile rientrò a Lero con il portello
del cilindro aperto perche il personale di bordo non riuscì a rinchiuderlo.
Seppi anche che il S.Ten. SPACCARELLI svenne subito per gli sforzi fatti nell’
aiutarci e fu riportato a bordo dal’altra riserva Ten. D. M. FELTRINELLI.
Le operazioni per estrarre
l'apparecchio si svolgono regolarmente.
Il palombaro Mario Marino |
Il mare è calmo, la notte
buia e intorno a noi tutto tranquillo. In formazione, a brevissima distanza
l'uno dall'altro, dirigiamo seguendo le rotte studiate per avvicinarci
all'imboccatura del porto.
Sono circa le 2100. Data la
distanza che dobbiamo percorrere, data la piccola velocità degli apparecchi, dato il
tempo che richiede il superamento delle ostruzioni, le ore di oscurità di cui
possiamo disporre sono appena sufficienti per permetterci di raggiungere gli
obbiettivi navigando sempre in superficie. Navigare in immersione, per occultarci in caso di
avvistamento da parte del nemico sarebbe stato causa di una perdita di tempo
tale da pregiudicare definitivamente la riuscita della missione. In base a
queste considerazioni decidiamo di compiere la navigazione sempre in superficie
e dritti sulle nostre rotte anche se fossimo stati avvistati e fatti segno a
caccia da parte del nemico: o la missione (fini)va lì o riuscivamo a condurla a
termine .
Ci avevano detto che, a
semicerchio con raggio di circa 5.000 metri dall’imboccatura del porto e correnti
da una sponda all'altra in mode da chiuderlo completamente, erano stesi un cavo
idrofonico ed una linea di gimnoti [i gimnoti sono pesci in grado di
produrre scariche elettriche: qui probabilmente ci si riferisce a cavi con caratteristiche simili: ma nel settore siamo tutt'altro che esperti]: in tal modo doveva essere impossibile a qualunque
imbarcazione a motore non segnalata avvicinarsi al porto. Il non avere a nostra
disposizione un mezzo per eludere un tale tipo di sbarramento ci risparmia il
fastidio di prenderlo in considerazione;
Procediamo dopo aver tutti
tolte la maschera facendo affidamento sul silenzia(to?) dei nostri motori. Il mio apparecchio notevolmente più veloce degli
altri tanto che per stare uniti mi tocca navigare in seconda tacca mentre gli
altri navigano in quanta.
Ad ma certo momento si
accende il faro di Ras El Tin proiettandoci add(osso) il suo fascio di luce intermittente;
vengono così illuminati dei punti a terra che vediamo e riconosciamo
benissimo e che ci consentono di accertarci dell'esattezza della nostra posizione e della nostra rotta.
Ci fermiamo qualche minuto per perfezionare l'assetto degli apparecchi: ne
approfittiamo per consumare i nostri viveri. Appena pronti mettiamo in moto e
riprendiamo la navigazione verso l’imboccatura.
Costeggiamo ad una distanza
di circa cento metri il frangiflutti esterno.
I fanali delle boe del canale
di ponente sono accesi: questo mi fa pensare che qualche bastimento debba
entrare o uscire dal porto. Uno scoppio mi dà la sensazione di aver urtato con
l'apparecchio e con i piedi contro uno scoglio o qualche cosa di simile;
l'apparecchio però è libero da ogni ostacolo, e da un secondo scoppio capisco che si tratta di bombette
subacquee. Questa volta, come per le successive, avverto
una forte pressione alle gambe, come se queste fossero premute da qualcosa di
pesante contro l'apparecchio. Metto la maschera e, per evitare la dannosa
influenza dei frequenti aumenti di pressione alle parti vitali del corpo mi
piego in modo da restare basso sull'acqua ma con cuore, polmoni, e testa fuori.
Dico al mio palombaro Marino di mettere anche lui la maschera e di assumere una
posizione simile alla mia, voltato però verso poppa, dato che io da quella parte
non potevo badare, occupato com'ero a guardare di prora e con la maschera che mi
consentiva solo un limitato settore di visibilità.
Arriviamo così all'imboccatura
del porto. Nel doppiare l'estremità dell'ostruzione fissa esterna perdiamo il
contatto con l'apparecchio di Marceglia. I fanali rosso e verde dell'entrata
sono accesi. Sento alcune voci che provengono dalla testata del frangiflutti
esterno e vedo agitarsi un fanale a mano presso il fanale di sinistra; presso
il fanale di dritta scorgo una specie di garitta. Procediamo cercando di
mantenerci al centro del passaggio tra i due fanali.
All'altezza della testata
del moli non incontriamo, come ci aspettavamo, l'ostruzione: è aperta.
Stiamo avanzando
lentissimanente. Improvvisamente il palombaro Marino mi dà un colpo sulla
spalla e mi dice: tutto a dritta. Eseguo subito l'accostata dalla parte indicata aumentando la velocità;
però quasi immediatamente l’apparecchio
va a sbattere contro i galleggianti dell’ostruzione fissa interna: un po’ per
effetto del suo moto ma molto perché trascinato dall'onda di prua di una nave
che, raggiungendomi, entra in porto. Mi meraviglio sul momento di non aver
sentito prima il rumore delle eliche dell'unità che sta sorpassandomi e sento e vedo benissimo essere un caccia a
fanali spenti e che va a circa 10 nodi; sento anche perfettamente rumori di
catene sulla sua prora e intravedo della gente che traffica in coperta intenta
ai preparativi per l'ormeggio.
Perdo per qualche momento il
contatto con l'apparecchio di. DE LA PENNE; lo rivedo mentre subito dopo di me
viene a sbattere anche lui contro i galleggianti presso i quali sono fermo, e
poi lo perdo definitivamente di vista. Sono le 0030 del 19 dicembre.[teniamo
presente che l’azione era iniziata alle 21 del giorno prima].
Il cacciatorpediniere Jervis |
Rimetto in moto, e, profittando
delle onde provocate dal secondo caccia che entra, entro anch’io in porto,
sempre in superficie passando ad una ventina di
metri dall' imbarcazione di guardia. [!!!neretto mio],
Superata la boa terminale
dell'ostruzione, dirigo prima per 120° e poi per 40° in modo da passare come
previsto tra il frangiflutti interno ed i moli a terra.[osservazione: oltre
al coraggio, alla forza fisica e alle capacità tecniche, per compiere
questa azione ci volevano notevoli capacità di navigazione strumentale].
Posso
ormai sfruttare tutta la velocità del mio apparecchio. Sulla sinistra,
affiancati ai frangiflutti, osservo due incrociatori leggeri con una mimetizzazione
differente da quella delle nostre unità; sulla dritta, ormeggiato ad uno del
moli a terra, un piroscafo carica cassette e sacchi che giudico di viveri,
illuminato a giorno da potenti cappelloni [grossi fari]che diffondono
una discreta luce per tutto il porto.
All'estremità del
frangiflutti, dalla parte di fuori, è ormeggiata di punta la nave da battaglia
francese LORRAINE.
Successivamente scorgo le
sagome di altre due grosse navi da guerra alle boe, una di poppa all'altra;
dalla posizione e dalla loro mole le riconosco per le due navi da battaglia,
obbiettivi di DE LA PENNE e MARCEGLIA. Passo tra di esse e dirigo per N.E. alla
ricerca della portaerei in uno dei suoi due
normali posti d'ormeggio; la portaerei non neanche qui (Da informazioni avute
in seguito risultò the essa era passata da Suez diretta in Oceano Indiano il giorno prima della nostra azione).
Torno indietro per levante e poi dirigo a Sud per recarmi nella zona delle petroliere: le rotte che seguo per ricercare la portaerei e poi per recarmi nella zona delle petroliere vengono ad essere delle spezzate a causa delle continue accostate che devo fare per passare dalla parte non in luce, rispetto al piroscafo illuminato, di tutte le navi da guerra e mercantili che incontro nella navigazione.
Torno indietro per levante e poi dirigo a Sud per recarmi nella zona delle petroliere: le rotte che seguo per ricercare la portaerei e poi per recarmi nella zona delle petroliere vengono ad essere delle spezzate a causa delle continue accostate che devo fare per passare dalla parte non in luce, rispetto al piroscafo illuminato, di tutte le navi da guerra e mercantili che incontro nella navigazione.
Ad un certo memento mi trovo
davanti, abbastanza vicina, la prua di una grossa nave da guerra che mi sembra una
nave da battaglia; non l'avevo vista prima, a maggior distanza, a causa dello
sfondo oscuro a terra. Da dove sono distinguo benissimo in controluce le due
navi da battaglia obbiettivi di DE LA PENNE e MARCEGLIA, e quindi sono sicuro che
quella che ho davanti non è una di quelle. Ritengo mio dovere attaccarla, anche
se così facendo vengo a disobbedire all'ordine di operazione ricevuto.
Preparo per l'attacco
l'apparecchio variandone l'assetto in mode da navigare con la testa di esso
qualche centimetro sotto il pelo dell'acqua e con l'elica ad un paio di metri
di profondità onde evitare movimenti di liquido e quindi fosforescenze in superficie. Eseguo
l'avvicinamento sulla dritta, navigando in prima tacca. Non trovo l'ostruzione
di prima e vedo che manca anche quella laterale di dritta. Quando, ormai
vicinissimo, sto per prendere gli ultimi rilevamenti per l'attacco, mi accorgo
che i cannoni delle torri non devono essere di calibro superiore ai nostri da 152 e che quindi ho da fare
con un incrociatore e non con una nave da battaglia. Evidentemente la breve
distanza d'avvistamento e lo stare cosi basso sull'acqua mi hanno ingannato
facendomi vedere le cose più grandi di quello che sono.
Un po’ a malincuore .decido
di rinunziare a questo bel bersaglio già a portata di mana, e di andare alla
ricerca della grossa petroliera. Per allontanarmi dall'incrociatore preferisco
ormai, data la brevissima distanza a cui mi trovo e 1’assoluta tranquillità
che regna a bordo, di scorrergli lungo il fianco e di uscire di poppa. Cosi mi
porto sotto bordo e, con il timone leggermente indietro, navigo lungo il fianco della nave tenendomi sempre scostato
con la mano. Il mio palombaro tocca anche lui la scafo e, vedendo che io
proseguo, mi chiede sotto voce perché non ci fermiamo ad attaccare. Gli
rispondo che abbiamo ordine di attaccare una petroliera.
Quando siamo circa sotto il
barcarizzo di poppa sono costretto a fermarmi perche dalla coperta viene accesa
una lampadina tascabile che proietta il
suo fascio di luce in mare. Mi sembra di non aver fatto alcun rumore di sciacquio
e non aver mai urtato contra lo scafo, perciò sto tranquillo. Copro con il petto
e con le braccia le fessure dei portellini oscuratori degli strumenti e resto ben
fermo. Anche Marino è immobile. Decido mentalmente di manovrare la rapida solo
se sono sicuramente scoperto perché temo che il suo gorgoglio d'aria possa rivelare
la presenza di apparecchi subacquei e far dare l'allarme in porta compromettendo
irrimediabilmente sia la mia missione che quella dei miei due compagni. Ho
diverse volte l'impressione che il fascio di luce mi sia addosso: dico
l'impressione perché non ho mai provato ad alzare la sguardo alla sorgente luminosa
sia per non dover fare il minima movimento, sia per timore che gli occhiali
della maschera facessero da specchio. Può benissimo darsi che sia stato solo ma
mia impressione e che la luce non sia mai stata diretta su di noi; può darsi
che il mare, in quel punto calmo come olio, abbia fatto specchio e che di la luce
riflessa sia passata sopra l'apparecchio, che era a qualche centimetro sotto il pelo dell’ acqua, senza illuminarlo.
Credo che la luce sia
rimasta accesa un minuto o due. Aspetto ancora un paio di minuti dopo che si è
spenta, e quando mi sembra che tutto sia tornato tranquillo rimetto in moto e
mi allontano lentissimamente. Quando sono a circa 50 metri dalla nave, aumento
di velocità e dirigo in quarta tacca verso la zona delle petroliere.
La M/T Sagona ( da https://www.krigsseilerregisteret.no/no/skip/24837/) |
Mi faccio dare un altro
stringinaso da Marino e provo a rimettere la maschera: mi è impossibile perché lo stringere il baccaglio fra i denti mi fa
tornare fortissimo l'urto del vomito. Continuo allora senza maschera verso la
zona delle petroliere finché ne vedo una grossa e carica che apprezzo sulle
16.000 tonnellate.[era la petroliera Sagona] Provo ancora una volta a
rimettere la maschera ma non riesco a portare il boccaglio in bocca. Decido
allora di eseguire l'attacco in superficie.
Una pagina della relazione Marceglia |
Mentre Marino sta lavorando
sotto carena, una petroliera pia piccola si affianca alla nostra. Chiedo a
Marino con i soliti segnali convenzionali e lui mi risponde che va bene.
Quando, data volta alla carica, to(..)la, mi dice che ha sentito dei rumori di
elica e dei movimenti non for(..) acqua, ma che ha continuato ed ultimato il
lavoro perche io non l'ho richiamato. Gli mostro allora la seconda
petroliera e lui contento dice: Spero resti qui ancora per tre ore, così sarà
pagata anche lei.
Ripartiamo per andare a
depositare le quattro bombe incendiarie; l(….?)
mo, dopo averne avviate le spolette ad centinaio di metri dalla petroliera,
a una ventina di metri una dall'altra.
[MISSIONE COMPIUTA!!]
Allora dirigo verso il molo
o carboni, dove avevo cioè previsto di s(..?).
Ordino a Marino di
distruggere il suo ed il mio autorespiratore che gli(..)
Giunto a terra ed accertatomi
che non c’è nessuno dico a Marino di scen(dere,)
togliersi il vestito,
tagliarlo in pezzi, buttarlo in mare ed aspettarmi.
Mi porto con
l'apparecchio verso il largo e quando
credo di essere in un zona di mare piuttosto profonda, fermo ed eseguo una
rapida immersione (senza?) maschera. Quando tocco il fondo il manometro di
profondità marca 17m. [!].
Torno a galla, avvio l'autodistruttore, appesantisco
al massimo l'apparecchio e lo abbandono. Raggiungo a nuoto la banchina dove avevo
lasciato Marino, prend(..?), mi tolgo il vestito e lo faccio tagliare a pezzi e
gettare in mare.
Con Marino mi avvio allora
per uscire dal porto ed entrare in città (ma alla?) barriera siamo fermati ed
arrestati da alcune guardie di dogana e poli(..?)ne che chiamano anche un
S.Ten. e sei militari della fanteria di Marina.
Veniamo condotti in un
ufficio dove troviamo due tenenti della pol(izia gizia?)na che intraprendono ad
interrogarci. Sono le 0545. Mentre rispondo alle domande che ml vengono rivolte
nella maniera più evasiva ed inconcludente p(ossibile?) sopraggiunge un capitano
di Fregata inglese e chiede al più anziano del due ufficiali egiziani di
consegnarmi a loro. Questa rifiuta in mancanza di autorizzazione del proprio
Governo dato che, avendoci riconosciuti come italiani del documenti trovati nelle nostre tasche asseriva che, non essendo l'Egitto in guerra
con l'Italia aveva bisogno di speciali istruzioni [interessante questo
particolare! L’orgogliosa polizia egiziana era gelosa della propria
autonomia!]. Il Comandante inglese
avutane autorizzazione dall'Ammiragliato, richiede personalmente al
Governo egiziano tali istruzioni ed ottiene che siamo consegnati a lui.
Il mio orologio subacqueo [per gli orologi subacquei rimandiamo alla nota 6] è sul tavolo assieme agli altri oggetti sequestrati ed io non lo perdo d'occhio. Pochi secondi
dopo le 0554 si sente una forte esplosione che fa tremare il caseggiato.
Qualche momento dopo mentre salivamo in
macchina per seguire l' Ufficiale inglese
se ne sente una seconda più lontano e più tardi, mentre la macchina
camminava,una terza.
Al Comando Marina di Ras el Tin
subiamo un breve interrogatorio in termini abbastanza cordiali e poi veniamo
avviati ai campi di concentramento per prigionieri di guerra del Cairo.
NOTE
1°) - Il mio 2° operatore, 2°
Capo Palm. MARINO Mario si è perfettamente comportato sotto ogni riguardo.
Sereno, calmo, preciso nell'eseguire i miei ordini anche nei momenti più
difficili e nel portare a termine il suo
lavoro in condizioni diverse da quelle previste, mi ha dato tutto l'ausilio che
sapevo di potermi aspettarmi da lui e che le sue qualità professionali ml
facevano prevedere,
2°) - Efficienza del
materiale:
Apparecchio n.222: perfetta.
Vestiti impermeabili:
completamente negative.
Autorespiratore: quella di
MARINO ha perfettamente funzionato. Altrettanto non posso asserire del mio dato
il manifestarsi di disturbi ai quali, come
ho detto nella relazione,non so quale causa attribuire esattamente.
Li [manca luogo e data]
Firma di
V. Martellotta
La firma di Martellotta in calce alla relazione |
****************************************
De La Penne |
Gli
effetti dell’esplosione delle cariche poste da Marceglia e Marino sotto la Queen
Elizabeth poterono essere visti da De La Penne che in quel momento si
trovava in coperta della Valiant (già sbandata e appoggiata sul fondo per
effetto dell’esplosione delle cariche). Così scrisse De La Penne:” Sono le 6
e un quarto (..) passano pochi secondi e anche la Queen Elizabeth salta. Si
solleva dall’acqua per qualche centimetro e dal fumaiolo escono pezzi di
ferro, altri oggetti e nafta che arriva in coperta da noi e sporca tutti quanti”.
Sporchi ma probabilmente, ovviamente De la Penne e Bianchi, felici. Gli inglesi un po' meno, con le loro immacolate divise coperte di nafta. E, pensiamo, un po’ meno arroganti
***********************
Infine una precisazione: SLC= Siluri a Lunga Corsa o Siluri a Lenta Corsa'? Stando a quanto leggiamo qui
https://www.altomareblu.com/siluro-lunga-corsa-slc-lino-mancini/ questi mezzi rivoluzionari che dopo Alessandria non lasceranno più dormire tranquilli i marinai inglesi nella loro navi alla fonda, quando furono progettati e costruiti nel 1935 da Tesei e Toschi furono chiamati Siluri a Lunga Corsa. Poi col tempo e l'uso, specie nel dopoguerra, la lettura dell''acronimo si modificò
APPENDICE I
Le conseguenze
Cosa successe "dopo"? Si venne a conoscenza del risultato del "colpo"?
Giudicate voi:
Relazione danni
“Nelle
ore pomeridiane del 19 un velivolo dell’Egeo riusciva a compiere un rilievo
fotografico del porto di Alessandria da cui si rilevava che delle due navi una
era affiancata da due sommergibili (? in realtà forse due imbarcazioni
minori) la seconda da una grossa cisterna e due bettoline. Questa poi aveva
tutte le artiglierie brandeggiate al traverso e sembrava leggermente sbandata
sulla sinistra (..)
(..)
Nei giorni successivi fu rilevato che nessuna corazzata nemica aveva preso il
mare
(..)
Il 6 gennaio una nuova ricognizione
fotografica constatò che una corazzata era ormeggiata di punta al molo del
bacino in muratura, (..) la seconda unità trovavasi nel bacino galleggiante.
Risultava pertanto evidente che almeno un’unità era stata danneggiata
Infine
nel pomeriggio dell’8 gennaio il
servizio informazioni germanico comunicava che (..) entrambe le due corazzate
risultavano danneggiate e che i sei operatori erano stati fatti prigionieri. La
notizia era confermata anche da fonti giapponesi”
Quindi almeno dall' 8 gennaio si sapeva che la flotta inglese era in grande difficoltà per quanto
concerne le navi da battaglia.
Ma
non se ne approfittò.
Del resto durante la guerra Supermarina fu molto cauta
nell’usare le grandi navi da battaglia contro grosse formazioni e, forse
conscia della nostra inferiorità nella tecnologia (radar), nella
telemetria, nel munizionamento notturno e della carenza di
addestramento al combattimento notturno adottò (e fece adottare) un
atteggiamento poco "aggressivo" (ma ovviamente questa è una mia opinione personale che vale quel che vale ) nei confronti delle squadre navali
inglesi.
Però molte navi minori (caccia e anche
incrociatori) furono usate come scorte e
trasporti verso il nord Africa. Spesso attaccarono coraggiosamente formazioni
molto più potenti nel tentativo di salvare i mercantili affidati alla loro
difese, mercantili a loro volta spesso destinati alla distruzione sulla
“rotta della morte”.
Poi c’era anche Ultra, ma questa è un’altra storia.
************************************
Per quanto riguarda i danni inflitti alla Queen Elizabeth ecco quanto scrivono Alan Raven and John Roberts, British
Battleships of World War II, Arms and Armour Press, Londra, 1976 (citati in http://www.regiamarina.net/detail_text_with_list.asp?nid=99&lid=2&cid=1) I
The
charge below Queen Elizabeth detonated under 'B' boiler room and blew in the
double bottom structure in this area, and, to a lesser extent under 'A' and 'X'
boiler rooms, upwards into the ship. Damage to the ship's bottom covered an
area of one hundred and ninety feet by sixty feet and included both the port
and starboard bulges. 'A', 'B' and 'X' boiler rooms, and the forward 4.5inch
magazines flooded immediately, and 'Y' boiler room and several other
compartments in the vicinity, flooded slowly up to main deck level. The
boilers, and the auxiliary machinery, together with its electrical equipment
were severely damaged by the explosion and subsequent flooding. The armament
was undamaged. But all hydraulic power was lost, and the guns of the main and
secondary batteries could have been used only at greatly reduced efficiency. The
ship sank to the harbor bottom, but was raised and temporary repairs were
carried out in the floating dock at Alexandria . She
subsequently proceeded to the USA , where
permanent repairs were carried out, between 6th September 1942 and 1st June 1943 , at
the Norfolk navy
yard, Virginia . Queen
Elizabeth was out of action for a total of seventeen and a half months.” che possiamo tradurre pressapoco così:
" La carica sotto la Queen Elizabeth esplose
sotto il locale caldaia "B" e si espanse nella struttura a doppio
fondo in quest'area, e, in misura minore, sotto i locali caldaie "A" e
"X", verso l'alto nella nave. I danni al fondo della nave coprivano
un'area di centonovanta piedi per sessanta piedi e includevano deformazioni sia a babordo che a tribordo il porto che i rigonfiamenti di tribordo. Le
caldaie "A", "B" e "X", e le riservette anteriori da 4,5 pollici si allagarono
immediatamente, e il locale caldaie "Y" e molti altri compartimenti
nelle vicinanze si inondarono lentamente fino al livello del ponte principale. Le
caldaie e i macchinari ausiliari, insieme alle loro apparecchiature elettriche,
sono stati gravemente danneggiati dall'esplosione e dalle successive
inondazioni. L'armamento non era danneggiato. Ma tutta l'energia idraulica è stata
persa e le armi delle batterie principali e secondarie avrebbero potuto essere
utilizzate solo con efficienza notevolmente ridotta. La nave affondò sul fondo
del porto, ma fu sollevata e furono effettuate riparazioni temporanee nel
bacino galleggiante di Alessandria. Successivamente proseguì negli Stati Uniti,
dove furono effettuate riparazioni permanenti, tra il 6 settembre 1942 e il 1 giugno
1943, nel cantiere della marina di Norfolk, in Virginia. La Queen Elizabeth fu
messa fuori combattimento per un totale di diciassette mesi e mezzo. "
"
Per quanto concerne la petroliera Sagona (7554 tonn., costruita in Olanda nel 1929, carica di 12000 tonn di nafta, leggiamo ( http://www.warsailors.com/singleships/sagona.html ) :“Most of her aft
part was blown away, but nobody was injured, and her entire cargo of oil was
intact (12 000 tons), so that when the incendiary bombs started to detonate a
couple of hours later they found no fuel to ignite and did not cause the
planned damage in the harbour”
L'ultimo viagio della Sagona: partita da Haifa il 9, arrivata ad Alessandria il 12 |
La Sagona rimase
ad Alessandria come
"nave bunker" per il resto della guerra.
La targa a Marceglia e Schergat all'idroscalo di Trieste (da https://it.wikipedia.org/wiki/Spartaco_Schergat#/media/File:Marceglia_e_Schergat.jpg) |
Appendice II
L'attacco degli incursori italiani nel porto di Alessandria divernne presto un "classico" e come tale studiato come esempio perfetto nelle Accademie Navali di molti paesi. Fra i diversi studi presentiamo qui alcuni frammenti della tesi The Teory of special operations svolta nel 1993 della Naval Postgraduate School di Monterey (California) che all'impresa italiana dedica 63 pagine.
NOTE
1 ) ne furono tratti almeno tre film: I sette dell'Orsa Maggiore (1953); The Silent Enemy (1958, The Valiant (1962).
(2) Convenzione di Ginevra, art. 7 " As soon as possible after their capture, prisoners of war shall be evacuated to depots sufficiently removed from the fighting zone for them to be out of danger.
(2) Convenzione di Ginevra, art. 7 " As soon as possible after their capture, prisoners of war shall be evacuated to depots sufficiently removed from the fighting zone for them to be out of danger.
Only prisoners who, by reason of their
wounds or maladies, would run greater risks by being evacuated than by
remaining may be kept temporarily in a dangerous zone.
Prisoners shall not be unnecessarily
exposed to danger while awaiting evacuation from a fighting zone. The evacuation of prisoners on foot
shall in normal circumstances be effected by stages of not more than 20 kilometres
per day, unless the necessity for reaching water and food depôts requires
longer stages.
Appena
possibile dopo la loro cattura, i prigionieri di guerra devono essere evacuati
in campi sufficientemente lontani dalla zona di combattimento per essere fuori
pericolo.
Solo
i prigionieri che, a causa delle loro ferite o malattie, corrono rischi
maggiori venendo evacuati piuttosto che rimanendo possono essere
temporaneamente trattenuti in una zona pericolosa.
I
prigionieri non devono essere inutilmente esposti al pericolo in attesa di
evacuazione da una zona di combattimento. L'evacuazione
dei detenuti a piedi deve essere effettuata in circostanze normali per fasi non
superiori a 20 chilometri al giorno, a meno che la necessità di raggiungere i
depositi di acqua e cibo richieda fasi più lunghe". (v. https://ihl-databases.icrc.org/applic/ihl/ihl.nsf/ART/305-430008?OpenDocument, Convention relative to the Treatment of Prisoners of War. Geneva , 27 July 1929).
Emilio Bianchi |
3) La relazione di De La Penne sulle missioni (Gibilterra e Alessandria) fu oggetto, anni dopo, di alcune puntualizzazioni da parte del suo “secondo uomo”, il palombaro Bianchi.
Per approfondire:
https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/12/19/torna-lo-scire-riemergono-le-polemiche.html?refresh_ce
Bianchi scrisse anche una lettera a De La Penne "contestandogli certe sue ricostruzioni e raccontando a sua volta la sua versione su come si era svolta la missione (..) Nella stessa lettera gli contestava, anche, la ricostruzione da lui fatta della loro precedente missione a Gibilterra
https://www.altomareblu.com/decima-mas-alessandria/ dove si può vedere la lettera.
A quanto ho letto la lettera non avrebbe avuto risposta.
Bianchi il 29 settembre 2004 (un po’ tardi, direi) fu nominato Grande Ufficiale Ordine al Merito della Repubblica Italiana a quanto abbiamo letto qui https://www.quirinale.it/onorificenze/insigniti/13256 .
Bianchi il 29 settembre 2004 (un po’ tardi, direi) fu nominato Grande Ufficiale Ordine al Merito della Repubblica Italiana a quanto abbiamo letto qui https://www.quirinale.it/onorificenze/insigniti/13256 .
Morì all'età di
103 anni a Torre del Lago (Viareggio)
nel 2015.
5 ) In
effetti erano stati scoperti, ma solo dopo aver collocato e armato le cariche. Portati
a bordo della Valiant, e imprigionati in una profonda cala nel ventre
della nave, si rifiuteranno di svelare la posizione delle cariche. Pochi minuti
prima dell’esplosione, De La Penne avvertirà il Comandante per far sbarcare
l’equipaggio. Lui però sarà lascito nella cala
e si salverà fortunosamente, come abbiamo letto nella sua relazione.
6) Quella
degli orologi sequestrati è una vicenda che proprio non andrà giù ai nostri
uomini. Trattandosi di effetti personali
la loro confisca fu così mal
digerita che, quando nel 1987 Durand De
La Penne (che aveva subito il medesimo “sopruso”) incontrò a Livorno Henry Brownringgs, figlio di Thomas, capo di Stato
maggiore dell' ammiraglio Cunningham, gli richiese il suo
orologio. Ecco come la vicenda è ricordata in La Repubblica del 28 aprile ’87 “Ma
il mio cappello di lana e il coltello dove sono finiti, li rivoglio, dice con
voce ferma Durand de la Penne. Sono passati 46 anni ma l' ammiraglio non ha
dimenticato. Oggi ha i capelli bianchi, è leggermente ingrassato. Non dimostra
però 73 anni e ricorda benissimo quello che gli sequestrarono gli inglesi dopo
la cattura, dopo che aveva minato la corazzata Valiant: un berrettuccio di lana
fatto a mano dalla moglie, un coltello e l' orologio, un modesto e semplice Marvis
( marca a me sconosciuta: potrebbe essere Mavis o Marvin. Pensavo che gli
incursori avessero il Panerai Luminor). L'
orologio è tornato in Italia, l' ha riportato Henry Brownringgs, figlio di
Thomas, (..) Thomas Brownringgs, capo di Stato Maggiore dell' ammiraglio
Cunningham, comandante delle forze navali del Mediterraneo, tentò di restituire
quell' orologio a de la Penne nel 1946 ma lui lo rifiutò, sdegnosamente. Se lo
tenga, disse seccato. Ma quei giorni sono ormai lontani, la guerra e l' eroico
assalto al porto di Alessandria fanno parte della storia. L' ex ammiraglio ora
siede sul palco del cinemino dell' Accademia navale di Livorno insieme a Henry
Brownringgs che è arrivato in Italia per restituire qull' orologio.
(https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/04/28/dopo-46-anni-gli-inglesi-celebrano.html?refresh_ce).
L'episodio dell'orologio preso viene ricordato anche sulla scheda Wiki dedicata alla Valiant (https://it.wikipedia.org/wiki/HMS_Valiant_(02) ) in questi termini:
“Durand de la Penne
fece chiamare il comandante della Valiant, Charles Morgan, e lo avvertì dell'imminente esplosione,
permettendo all'equipaggio inglese di salvarsi. Nell'occasione gli Inglesi
rubarono l'orologio agli Italiani. Si trattava di modello Luminor della Panerai".
Circa l'interrogatorio a bordo della Valiant abbiamo trovato questa curiosa notizia relativa alle "difficoltà linguistiche" :
"My faher Trevor Williams took an active role with regards to the captive Italians, what he told me was a call went out for anyone who could speak Italian for there was nobody on board to communicate with the captured Italians. The only one on board who could communicate was my father. He told the officer that he did not speak Italian or French but could write French, so whoever was in charge got my father to write a question using French and one of the Italians could understand what was being written and replied also writing French and my father translated.
Mio padre Trevor Williams ha assunto un ruolo attivo nei confronti degli italiani in cattività, quello che mi ha detto è stata una telefonata per chiunque potesse parlare italiano perché non c'era nessuno a bordo per comunicare con gli italiani catturati. L'unico a bordo in grado di comunicare era mio padre. Disse all'ufficiale che non parlava italiano o francese, ma sapeva scrivere il francese, quindi chiunque fosse incaricato indusse mio padre a scrivere una domanda usando il francese e uno degli italiani capì cosa si stava scrivendo e rispose anche scrivendo francese e mio padre traduceva" ( https://ww2db.com/battle_spec.php?battle_id=268)
7) Martellotta in questo sarà più fortunato, perché mentre veniva condotto via
dagli inglesi su una camionetta sentì distintamente le tre esplosioni
8)
Schergat, nell'ottobre 1944 rientrò
in Italia per partecipare alla guerra di liberazione nel Gruppo
“Mariassalto”. Messo in congedo nel novembre 1945, fu iscritto nel Ruolo
d'Onore nel grado di 2° capo palombaro. Nel dopoguerra si
occupò di recuperi navali, fece il marinaio in uno yacht club di
Trieste e, infine, trovò impiego come custode dell’Università Giuliana. .
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Leonello Oliveri
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