martedì 25 aprile 2017

21 giugno 1940: la  tragedia del forte Chaberton – una storia italiana

Leonello Oliveri

“Dopo una spaventosa detonazione che fece volare via
tutte le opere di mascheramento preparate, seguimmo la  traiettoria del proiettile col fiato sospeso, Furono, secondi. interminabili. Poi ci arrivò la segnalazione dall'osservatorio: obiettivo quasi colpito, mirare un poco più a destra in basso”'. Con queste parole M. Boglione ricorda, nel suo libro "Le strade dei cannoni, l'inizio della tragedia del forte italiano dello Chaberton, a 3130 m. di altezza sopra Cesana Torinese: la fortezza più alta d'Europa.




Siamo al 21 giugno del 1940 e l'Italia ha da poco dichiarato guerra alla Francia.
A parlare è  il lieutenant Miguet; comandante di una batteria di 4 mortai Schneider da 280 mm. che i francesi avevano posizionato già da tempo nella zona di Briançon (due a Poet Moran e due a l'Ayrette) con lo scopo preciso di distruggere il forte, costruito dagli italiani fra il 1896 e il 1906: in tre ore e mezza 57 proiettili da 280, pesanti 205 kg.( [1]), si abbatterono sulle sue otto torri cilindriche, armate ciascuna di un cannone da 149/35, mettendone fuori combattimento 6. Nel forte ci furono 10 morti   e una cinquantina di. feriti.
Il bombardamento era l'ultimo atto di una vicenda iniziata già nel 1897, quando il comandante del Servizio Segreto francese, osservò preoccupato che "'gli italiani stanno progettando di costruire sulla cima di quel monte un fort des nuages che sarebbe un grande pericolo per Briançon. Dobbiamo assolutamente scoprire ogni dettaglio di questa fortificazione raccogliendo il maggior numero possibile di  informazioni e di fotografie".
E il forte che gli italiani stavano costruendo poteva rappresentare, allora, un notevole pericolo.
Il monte Chaberton (3130 m.) sovrasta il colle del Monginevro, tradizionale via di invasione dell'Italia dalla Francia. Di li erano passati Carlo VIII nel 1494 e Luigi XIII nel1629. Di lì passeranno nel 1747 le truppe francesi ditte alla sconfitta dell’ Assietta. Di lì i cannoni “ad azione lontana" previsti per l’armamento potevano dominare la conca di Briançon.
La costruzione del forte era stata decisa nel 1896 quando, in seguito all'adesione del Regno d'Italia alla Triplice Alleanza con  l'Austria e la Germania, gli Alti Comandi italiani ritennero necessario usare una grossa aliquota del magro bilancio dello Stato per spese militari, in particolare per fortificare la frontiera occidentale. I lavori determinarono innanzitutto la  realizzazione di una strada militare di 14 km da Fenils fino alla cima, nonché di una teleferica per il trasporto dei materiali dal paese al forte. La sommità del monte fu abbassata di 6 metri, spianata e sul versante italiano  fu scavato uno scalino di 12 metri proprio sotto lo spiazzo così ottenuto. Sulla base dello scalino venne costruito i1 forte, protetto dal ciglione del monte. Semplice nella sua pianta, era costituito da una lunga caserma di m.113x18 comprendente i locali logistici cui poi si aggiunsero una capace santabarbara e altri locali di servizio scavati nelle viscere stesse del monte.

Scatolette di latta in cima a un palo ...
L 'armamento era installato in otto torri cilindriche in muratura emergenti dal soffitto della caserma, alte circa 8 metri, larghe 7, distanti 5 metri dallo spalto del monte che le proteggeva anteriormente. Esse erano formate da un cilindro cavo in blocchetti di calcestruzzo con un carico di rottura di 100-150 kg/cm2. Non fu usato il cemento armato, tecnica perfezionata già nel 1897. All'interno vi era un cilindro pieno in muratura alto come la torre con l'arma  sulla sommità. Fra il  cilindro interno e quello cavo esterno vi era un’intercapedine nella quale passava la scala elicoidale che arrivava fino al cannone e il montacarichi verticale per i proiettili.

Sulla sommità di ciascuna torre era installato in una casamatta leggermente blindata un cannone da 149/35 brandeggiabile a 360° in sistemazione denominata “Armstrong Montagna”. L’arma, con un alzo in elevazione da + 25° a – 8°, tirava a 628 m/s un proiettile di peso variabile fra i 37 e i 45 kg. ad una distanza massima, vista la conformazione della casamatta, di 16000 m.
Il cannone era posto all’interno di una cupola blindata solidale col brandeggio del cannone e quindi in grado di ruotare di 360° grazie ad una corona dentata fissata sulla sommità della torre. In realtà la protezione era piuttosto labile: 5 cm. nella parte di massimo spessore, sul davanti, 2,5 sul tetto e 16 mm. sui fianchi e sul retro (dove poteva essere perforata anche da un proiettile di mitragliatrice pesante! Era una protezione “ destinata- come si legge su documenti ufficiali  degli anni ’30 – a opere permanenti di alta montagna che non dovevano temere offese provenienti dall’alto” : ma proprio dall’alto arriverà l’offesa. Evidentemente gli alti comandi italiani avevano dimenticato – o non conoscevano- gli esperimenti fatti  dai francesi sul forte della Malmaison nel 1886 con mortai da 220 dotati di “proiettile torpedine” caricato con un nuovo tipo di esplosivo, la melinite, esperimenti che avevano evidenziato gli effetti devastanti dell’arma a tiro curvo sulle opere del forte.
Ogni cannone era servito da 8 uomini.
La scelta delle torri in muratura era architettonicamente originale, esteticamente pregevole ma militarmente e funzionalmente quantomeno arrischiata, per non dire suicida. Essa era spiegata dalla necessità di elevare i cannoni rispetto all’altezza che la neve avrebbe raggiunto nella brutta stagione (il forte doveva essere presidiato costantemente). Essendo però tutto il complesso costruito su un gradino  scavato sul versante italiano del monte, solo la sommità delle torrette sporgeva verso la Francia. Questo fatto a ben pensare  rendeva inutile la scelta della costruzione in torrette, visto che la neve si sarebbe comunque  accumulata sulla spianata del forte antistante i cannoni e posta quasi al loro stesso livello. In compenso le torrette  sarebbero state esposte alle conseguenze di colpi caduti alle spalle o direttamente su di loro. Nessun cannone avrebbe potuto colpirle dal basso- così almeno si pensava-, quindi fu data poca importanza al fattore protezione: ma le spalle, i fianchi, l’alto e le stesse torri erano totalmente scoperte a colpi dotati di angoli di caduta molto elevati, per esempio quelli dei mortai. E i francesi li avevano, e anche molto grossi, addirittura dal 1880 ([2]). Per questo, per far fronte  all’evoluzione della minaccia, sarebbe stato più prudente porre i cannoni in cupole corazzate annegate nel cemento con i locali in caverna: se nei primi anni  del ‘900 tale tecnologia era ai primordi, negli anni ’40 era ormai diffusa. Ma trenta anni passarono senza che il forte fosse messo in sicurezza.
  La sua costruzione costò, secondo calcoli approssimativi, circa 2 milioni di lire del 1900: allora la paga oraria di un operaio (10-11 ore al giorno) si aggirava intorno ai 20 centesimi e il pane costava 43-48 centesimi al chilo!

Nel 1906, mentre allo Chaberton venivano montati i cannoni da 149, nelle officine francesi Schneider veniva approntata l'arma che li avrebbe distrutti. Infatti in quell'anno l'armata  zarista aveva ordinato in Francia dei mortai da 280 rom. Nel 1915 anche la Francia ne acquistò 18 esemplari, alcuni dei quali erano ancora operativi nel 1940. Si trattava di un'arma assai pesante (oltre 16 tonn.) con una canna di 3,35 m. in grado di tirare con un angolo massimo di 60° a 418 m/s un proiettile di 205-275 Kg. a seconda del tipo fino ad 11 km. di distanza. Scomponibile in 4-5 carichi trasportabili su carrelli, poteva essere avvicinata alla prima linea con una certa facilità. Il ritmo di fuoco non era celere (quattro  colpi in 5 minuti), ma gli effetti  devastanti, specie su blindature e casematte leggere come quelle dello Chaberton. In Francia ebbero il battesimo del fuoco durante la I GM. a Verdun, quando bombardarono i forti di Vaux e Douaumont.

Distruggete lo Chaberton..
I francesi considerarono subito il forte per quello che poteva rappresentare: un grave pericolo per la conca di Briançon e la stessa città: nel 1903, prima ancora che il forte Italiano venisse armato, era apparso in Francia un preoccupato articolo sul quotidiano "Libre parole" (quello stesso, per inciso, che aveva scatenato la campagna contro il capitano Dreyfus). In esso si prevedeva che i cannoni del forte avrebbero potuto distruggere la città in 24 ore: "quali misure hanno preso le autorità militari per proteggere questa parte della frontiera delle Alpi?” si domandava il giornalista. In verità le autorità militari francesi presero, a tempo debito, le loro misure, sia difensive (fortificazioni in calcestruzzo  e acciaio), sia offensive (artiglierie adeguate), lo Chaberton, invece, non sarà nei decenni successivi adeguato alle nuove  minacce. Eppure l'esistenza del mortaio francese da 280 non era ignota alle autorità militari italiane, visto che era citato in un testo di artiglieria italiano (Cenni sui materiali di artiglieria di alcuni stati esteri,  autore C. Manganoni) stampato nel 1932 a Torino.
"Disgraziatamente, ricorda E. Castellano nel suo bel libro Distruggete lo Chaberton (ed. Il Capitello), al quale siamo debitori di parecchie informazioni su quei tragici giorni, l'estatica ammirazione del forte continuò per molto tempo (..) anche quando era ormai da considerarsi superato sotto ogni aspetto".
una torre colpita dal fuoco francese
Allo scoppio della guerra il forte era così presidiato da 320 uomini dell’8°  Rgt. di artiglieria Guardia alla Frontiera (5l5a  batteria GaF). I cannoni del forte sono sempre nella loro scatoletta di latta in cima alla torre, come un cappello su un palo.
Nel forte mancavano, nota E. Castellano nel suo libro, le tavole di tiro relative alla quota di 3000 metri: quelle disponibili per il pezzo da 149/35 erano infatti riferite ad una quota di 1000. Il capitano Bevilacqua, comandante della postazione, dovette quindi revisionarle. Le tavole giuste, riferite alla quota di 3000 m. giunsero al fronte quando la campagna delle Alpi era ormai terminata, trenta anni dopo l’installazione dei cannoni.

" Mi sembra di uccidere un morto"
La guerra, per  lo Chaberton, inizia il 17 giugno quando apre il fuoco contro i forti francesi Janus, Gondran, Infernet, Trois Tetes. Ma già da due anni, dal dicembre del '38, i francesi avevano predisposto adeguate contromisure, allestendo la 6° batteria del 154 Rgt. di Artiglieria su 4 armi senza che il servizio di informazioni Italiano ne avesse il minimo sospetto. Nell' aprile del ’40 i mortai,  suddivisi in due sezioni di due armi ciascuna, erano stati posti in batteria, ben defilati e nascosti anche ad un'eventuale ricognizione aerea italiana ([3]).
Il 21 giugno, nel pomeriggio, i mortai francesi iniziano a loro volta a tirare sullo Chaberton dal vallone delle Cervieres, distante 9300 m. e con un dislivello di oltre 1000 metri. II fuoco era diretto da tre osservatori (forte Janus, forte dell' Infernet, Col de Granon). Tre osservatori dalla parte francese, neppure uno efficiente nel torte italiano, la cui guarnigione non aveva idea circa la provenienza dei colpi e assolutamente nessun mezzo per controbatterli. I 149/35 italiani bombardarono a ripetizione il vecchio forte Trois Tetes, pensando che di lì provenisse i1 fuoco: ma il forte francese, declassato, non aveva neppure i cannoni. Lo Chaberton bombardò anche il forte Janus: fra il 20 e il 2l giugno l'opera Maginot che vi era stata costruita fu bersagliata da oltre 1000 colpi dei 149 dello Chaberton (e da una cinquantina di proiettili di mortai da 210), senza subire gravi danni: fra l'altro fu colpita anche la campana corazzata  GFM  del blocco 4, dove era situato l' osservatorio: ma il proiettile da 149 1asciò solo una scalfittura  sulla cupola corazzata spessa oltre 20 cm. Proprio dall' osservatorio del forte Janus deriva, probabilmente, l'unica foto nota scattata dai  francesi durante il bombardamento.
la torre 3 

Uno dei primi colpi francesi, un po' lungo, colpì la teleferica che univa il forte al paese di Cesana. La sua stazione di arrivo era stata collocata in prossimità di una torretta del forte, e quindi in posizione assai esposta: vi arrivavano anche la linea elettrica e quella telefonica, palificate e non, interrate per cui il forte rimase quasi subito privo di comunicazioni, tranne quelle radio. Alle 1715 è colpita la prima torre: un morto ed un ferito grave: nella mezzora successiva è l'inferno: vengono colpite le torri 5 (4 morti, la casamatta è sbalzata dalla sua sede e resta in bilico di sghimbescio sulla torre), 4 (due morti), 3: quest’ultima ha addirittura l’intera torretta scaraventata ai piedi della torre, come un cappello strappato da una folata di vento. Verso le 18 è la volta della 2 e della 6: "il bombardamento continua, scrisse nella sua relazione il ten, francese Miguet, ma mi sembrava di uccidere un morto".
Con l'oscurità i  mortai francesi cessano il fuoco. Con 51 colpi avevano costretto al silenzio 6 torri su 8. Al forte restano attive solo le torri 7 e 8.
La guarnigione, pur nell'impossibilita di controbattere il fuoco avversario, resiste continuando il fuoco con le torri superstiti fino al 23 giugno. Tireranno tanto, spesso trasportando proiettili e cariche a spalla, che la filettatura degli otturatori si consumerà e dovranno essere riparati.
Anche i mortai francesi continuano il loro fuoco, tra folate di nebbia che coprono il bersaglio: 6 colpi il giorno 22, 14 il 23 e 24 il giorno successivo, che fu anche l’ultimo giorno di guerra. Nessuno di questi 44 colpi centrò il forte: Strano bombardamento quello francese: nel primo giorno in poco più di 3 ore effettive di fuoco 57 colpi misero a tacere 6 torri su 8, nei tre giorni successivi 44 colpi non fecero nessun danno: uno solo cadde vicino il giorno 22. Per spiegare quella che a noi sembra una stranezza si potrebbe azzardare un’ipotesi, e cioè che il primo giorno il fuoco francese venisse diretto, via radio, da un osservatore nascosto situato in territorio italiano in una posizione con una buona visibilità sul forte, osservatore poi costretto a spostarsi, o al silenzio, dal successivo andamento delle operazioni militari. Ma è ovviamente solo un’ipotesi, tra l’altro di uno non specialista quale è l’autore di queste note.

Il bilancio delle perdite italiane fu di 9 morti (un decimo spirerà in seguito per le gravi ferite) e una cinquantina di feriti, alcuni dei quali ustionati. Se si tiene conto che i serventi dei cannoni erano 8 per arma, 64 in totale, si ha un’idea di cosa volesse dire servire ai pezzi in quelle ore.
Al dramma  manca ancora un ultimo atto: in seguito a quella che Castellano, nel suo citato libro, definirà icasticamente “una ruggente decisione del comandante dell’Armata”, i caduti non dovranno essere trasportati a valle (per non demoralizzare i civili?) ma seppelliti sul posto. Il comandante del forte, capitano Bevilacqua, dovrà ancora una volta “arrangiarsi” (tipico verbo italiano), costruire le bare con le tavole dei pavimenti e realizzare con il cemento disponibile nel forte nove loculi ( era impossibile scavare delle fosse nella roccia) sullo spalto davanti ai cannoni superstiti.
Terminata la battaglia, si distribuirono le medaglie: dieci ai caduti (una d’oro, tre d’argento e 6 di bronzo), 4 di bronzo e 14 croci di guerra al valor militare al resto del personale. Forse sarebbe stata più utile qualche tonnellata di acciaio e di cemento armato, prima.
L'epigrafe che ricorda i caduti dello Chaberton (dal Web)
Per una magra consolazione i mortai francesi che  colpirono lo Chaberton in base alle clausole dell’armistizio (quello del ’40) finirono in Italia come preda bellica assieme ad altri 254 cannoni requisiti nelle fortificazioni francesi.
E le lieutenant Miguet, che aveva comandato la batteria francese? Le lieutenant Miguet- leggiamo sul sito  web dell’Association des Amis de la ligne Maginot d’Alsace-  ne fut jamais félicité de sa victoire ni par les Briançonnais à qui il a empêché la destruction de leur  ville, ni par les militaires qui lui ont même fait remarquer qu’il manquait un boulon sur un tube ». Tutto il mondo è evidentemente paese. C’è solo da notare che gli italiano non hanno mai sparato dallo Chaberton sulla città di Briançon: a bombardare le città, nella II G.M., dal cielo,  gli specializzati saranno altri.
Dopo l’armistizio con la Francia il forte restò inattivo fino all’altro armistizio, quello dell’8 settembre ’43. In seguito fu saltuariamente presidiato dai tedeschi, che vi costruirono un osservatorio collegato con il fondovalle da una nuova teleferica, questa volta collocata in un versante meno esposto, e da reparti della Folgore della R.S.I.
Alla fine della guerra, passato il forte in territorio francese, le salme dei caduti verranno finalmente trasferite a valle, parte net cimitero di Cesana Torinese (dove un monumento, inaugurato nel 1978 nel parco, li ricorda ancora) parte ai luoghi di origine.
Nel '57, infine, il forte fu smantellato di tutto il materiale ferroso, cannoni compresi: portati a valle da una ditta di Cesana fecero il percorso inverso a quello che avevano fatto all'inizio del secolo e conclusero a loro vita negli altiforni genovesi della Sogena
A partire da allora i ruderi del forte divennero quello che sono tutt' ora: una suggestiva meta  per faticose scarpinate (saggiamente dal 1987 e stato vietato l'accesso ai veicoli) per turisti e per quanti, e non sono pochi, sentono ancora il richiamo della storia
lo Chaberton oggi (dal Web)

Quali considerazioni possiamo trarre da questa pagina di storia militare?
Non dimentichiamo che nella vicenda dello Chaberton ci furono 10 morti e 50 feriti. Qualcuno definì giustamente il forte dello  Chaberton una “bella donna precocemente appassita”. Ed in effetti, se le torrette appena blindate potevano  avere un senso all'epoca della costruzione, quando in altri forti i cannoni erano sistemati in barbetta, cioè allo, scoperto, una decina di anni dopo, con l'avvento di nuovi esplosivi e dei grossi calibri a tiro curvo, il forte divenne inesorabilmente obsoleto.
Mentre altrove si mettevano le artiglierie (e gli uomini) in cupole corazzate spesse 20-30 annegate in spessi sarcofagi di cemento, lo Chaberton, il "forte più alto d'Europa", dalle artiglierie spiccatamente offensive, considerato dai francesi una minaccia pericolosa, quasi potesse mantenere per decenni quell'invulnerabilità che aveva all'epoca della sua progettazione non fu messo in grado di resistere adeguatamente all'evoluzione degli strumenti di offesa e alla risposta che avrebbe scatenato aprendo il fuoco.
Nel giugno del '40 si manderanno cosi i coraggiosi artiglieri dello Chaberton dentro una scatoletta di latta con una corazza di 16 millimetri, come poi si manderanno nel deserto della Libia altre scatolette di latta da tre tonnellate armate di mitragliatrici (o da 14 con cannone da 47, cambia poco) contro tank da 26 tonn. con cannoni da 75, o gli  alpini nelle nevi del Don con divise di autarchica Lanital, scarponi chiodati (i vibram, esistenti dal '38, costavano troppo per un impero che aveva dichiarato guerra alle più grandi demoplutocrazie del mondo), bombe a mano e bottiglie di benzina contro i T 34 russi, o i biplani CR 42 a mitragliare Londra, con i sacchetti di sabbia nel portaoggetti dietro alla schiena del pilota per supplire alle corazze che mancavano e le cartine del Touring Club (anzi, Consociazione Turistica) come guida radar.
I francesi non distrussero lo Chaberton grazie alla fortuna, ma perché avevano pensato e provveduto in tempo.
Ecco cosa scrisse Ciano nel suo diario il 25 giugno '40 :"Si sono mandati gli uomini incontro ad una inutile morte, due giorni prima dell'armistizio, con gli stessi sistemi di venti anni or sono. Se la guerra in Libia ed in Etiopia sarà condotta in egual maniera l'avvenire ci riserba molte amarezze".
 Dell'imprevidenza italiana, dei silenzi o dell'incapacità' di chi non poteva ignorare quali fossero le reali condizioni dei nostri mezzi,  i 631 morti e soprattutto le 2150 vittime di episodi di congelamenti nella brevissima campagna contro la Francia (sulla quale, come scrisse Ciano, "è provvidenzialmente caduto il sipario dell'armistizio") furono la dimostrazione più evidente: in guerra il valore, da solo, non basta ([4]) . Ed era solo l'inizio...



Leonello Oliveri
Propr. Lett. Riserv.
Riprod. vietata

Mortaio Schneider (da Wikipedia)



[1]) Il mortaio Schneider aveva due tipo di proiettili: l'OAC da 275 kg con spoletta in culatta per bersagli duri, l'OAT (205 kg) con spoletta in ogiva per bersagli normali. Quest'ultimo fu quello utilizzato, con successo, contro il forte italiano: la scelta è indicativa sia delle doti di resistenza delle murature dello Chaberton (bastava un proiettile normale), sia dei buoni risultati ottenuti dall' inteIligence francese. Per fare un confronto possiamo ricordare che durante la I G.M. il forte francese di Moulainville resistette ad oltre 300 colpi da 420mm. (e a 8000 colpi di minor calibro)  rispondendo con  6000 tiri da 155 e 12000 da 75mm.                 
 [2]) In quell’anno i francesi realizzarono un mortaio da 220 mm capace di lanciare un proiettile da 90 kg. a 10 km. Anche l'Italia possedeva mortai come quelli francesi che avrebbero messo fuori combattimento il forte: per tutto il periodo fra le due guerre mondiali, infatti, 4 mortai da 210 mm. rimasero conservati nell' armeria del forte San Carlo a Finestrelle. Un'altra batteria di mortai da 210 era addirittura a pochi km. da1lo Chaberton, a San Sicario sopra Cesana: il 21giugno tirò una cinquantina di colpi contro il forte Janus senza risultati apprezzabili.
[3]) "Una sola volta vidi un aereo nemico sullo nostra posizione, scrisse nel suo rapporto il ten. Fouletier, comandante della sez. mortai di Poet Morand, arrestai il tiro un istante perche con i nostri grossi schioppi puntati verso il cielo avremmo scrollato il pilota dal suo sedile e attirato l'attenzione sulle nostre lunghe fiammate”. Ma  i grossi schioppi non furono visti dal pilota italiano.
[4]) Molte informazioni (e foto a corredo di questo articolo) sono state prese dai seguenti testi o siti web: E. Castellano, Distruggete lo Chaberton, Edizioni il Capitello, Torino, 1984; D. Gariglio, Popolo italiano, corri alle armi. 10-25 giugno 1940 : /'attacco alla Francia, Blu edizioni 2001; M. Boglione, Le strade dei cannoni. In pace sui percorsi di guerra. BIu edizioni, Peveragno Cn. 2003; D. Gariglio, M. Minola, Le fortezze delle Alpi occidentali, ed. L'arciere, Cn., 1994; www.thuler.net; www.fortechaberton.com (R.Chirio); www.fortificazioni.com (M.Minola); http://stradecannoni. altervista.org (M. Boglione); http://digilander.libero. it/avantisavoia (F. Storti).