giovedì 23 settembre 2021

Feinde sind auch Menschen - Anche i nemici sono persone: la storia di un soldato tedesco… che divenne americano


«Dammi la tua spada amico,
la custodirò per te.
Non combattere:
soltanto con amore conquisterai la pace.»
(Trieste, epitaffio di D. De Henriquez)

Leonello Oliveri

Proprietà letteraria Riservata
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Stanchezza (militare ignoto)

Sto (ri)leggendo un libro che avevo già incrociato diciamo quando ero più giovane, ma che allora avevo abbandonato e non avevo capito, complice anche un titolo (nella versione italiana) a mio avviso fuorviante. Si tratta di “Porgi l’altra guancia”, di R. Pabel, nell’edizione Pocket Longanesi del 1967. Nell’originale tedesco il titolo è Feinde sind auch Menschen (Anche i nemici sono persone), nella traduzione inglese è Enemies are Human, titoli a mio avviso molto più aderenti al testo.

E’ infatti la storia non di un “martire” pronto a farsi cristianamente colpire, ma di un normale soldato tedesco che imbracciava senza odio il fucile e che sapeva vedere l’uomo anche in chi portava una divisa diversa.

E abbandoniamo il solito teorema soldati tedeschi = tutti nazisti = tutti criminali.

Dunque Reinhold Pabel (questo è il nome dell’autore e anche del protagonista), nasce ad Amburgo nel 1916. Vive la sua infanzia in una Germania depauperata nella popolazione (1) (prostrata dalla incipiente guerra civile e dall’ inflazione (conseguenze del trattato di

Un francobollo da.. 500 milioni
Versaillies), quando una scatola di fiammiferi costava 500 mila marchi. Vive poi la sua prima giovinezza in una Germania avvelenata dai tentacoli dell’ideologia nazista, che catturavano ogni bambino, ragazzo, adulto.

Reinhold però  proveniva da una famiglia profondamente cattolica ed era dotato di una sincera fede religiosa, che riuscì a tenerlo lontano dagli effetti più perniciosi dell’intossicazione ideologica.

 Nel 1936, dopo la maturità, Reinhold decide di studiare  filosofia e teologia  per diventare sacerdote: quindi un ragazzo di 20 anni che, quando  ormai Hitler aveva conquistato il potere, sceglie di diventare sacerdote. Evidentemente un carattere forte.

Prima dell’Università era però obbligatorio  trascorrere sei mesi  nel Servizio  del lavoro, una sorta di

Il servizio di lavoro
(da E. Blohm, Hitler Jugend,)
paramilitare con le vanghe al posto dei fucili.

Reinhold ricorda ancora la tempesta di ordini del sergente istruttore alla sera in camerata: “Sotto i Letti! Sopra i letti! Sull’armadio! Sopra il tavolo! Sotto il tavolo!”  Incidentalmente sarà proprio questo tipo di reazione automatica a favorire la sopravvivenza di molti soldati tedeschi durante la guerra

Terminato il servizio obbligatorio, Reinhold frequenta l’Università di Munster, in Westfalia.

Poi, la guerra.


Nell’aprile del ’40 anche per Reinhold arriva la chiamata alle armi: “Bene, hai tutti i requisiti di un perfetto fantaccino. Col suo permesso naturalmente, Herr Theologe”, questo il beffardo benvenuto col quale l’ufficiale di servizio al centro di raccolta destinò il nostro filosofo- teologo- aspirante sacerdote alla fanteria.
Al principio dell’autunno del ’40 Reinhold viene mandato a Laskow, nel Governatorato Generale, ossia in quella parte di Polonia annessa per metà alla Germania (l’altra metà era stata conquistata dai Russi, ma in questo caso gli inglesi non trovarono nulla da ridire). Nella zona c’era una discreta minoranza tedesca.
Qui Reinhold incontra…l’amore, uno dei due grandi amori della sua vita, che continuerà ( con pochi incontri e tante lettere) fino a dopo la guerra quando la ragazza –Oksana- fu deportata dai russi in Siberia: “col tempo le sue laconiche cartoline divennero sempre più sconsolate, finché dovetti arrendermi all’idea che i suoi stereotipati messaggi significavano che il nostro giorno non sarebbe più venuto”: Oksana ( nome ucraino di origine greca - Xenia-che significa ospitale, amichevole) fu una vittima della travagliata storia della Galizia: (v. (https://www.google.com/search?nfpr=1&biw=1280&bih=579&q=https://it.wikipedia.org/wiki/Storia+della+Galizia(Europa+Orientale&spell=1&sa=X&ved=2ahUKEwjrgefjppXzAhVPNOwKHaleCYMQBSgAegQIARA2)

Il 22 giugno del 1941 inizia l’invasione della Russia. 
Il reparto di Reinhold occupa la cittadina di Sokol, sulla riva del Bug.
I luoghi della guerra di Reinhold
(Da Carrel, La Campagna di Russia)


Siamo in Ucraina. A Reinhold l’abito del conquistatore sta stretto: entrato in una casa alla ricerca di armi vede una piccola bambina spaurita, Reinhold le fa una carezza per tranquilizzarla.
La popolazione accoglie bene i tedeschi, quasi come liberatori: “credevano veramente che l’esercito tedesco avrebbe cacciato i bolscevichi e permesso di ricostruire la nazione sotto un governo libero e indipendente”: ma il partito Nazista – nella sua cecità- aveva altre intenzioni, e ben preso il favore locale fu distrutto.
Poco per volta la guerra diviene sempre più dura, ma Reinhold riesce sempre a mantenere la propria umanità, anche nei confronti del nemico.
La conquista di Kiev mostra ancora una volta come i tedeschi avessero perso l’occasione di trasformare l’Ucraina in un fedele alleato. Accolti come liberatori, poi li trattarono con disprezzo e superiorità.

Alla vigilia di Natale, mentre i tedeschi cominciano a fare conoscenza con il fango, la neve e il freddo, Reinhold è fortunato: viene seriamente ferito ad una gamba e smistato in un ospedale lontano dalle linee. Qui resta fino all’aprile del ’42 quando ritorna al fronte. Superato il Don, nella zona di Voronezh, fa la conoscenza con la marea dei carri russi, i T 34, i Rata, gli Organi di Stalin. 
La situazione peggiora sempre di più, ma Reinhold è ancora fortunato: alla fine del ’42 si busca una grave infezione e deve essere ricoverato, proprio mentre i russi sfondano. Bene o male il treno ospedale riesce a allontanarsi portando Reinhold lontano dall’inferno: prima a Kursk, poi a Kiev (dove il 31 gennaio ’43 apprende la caduta di Stalingrado), poi finalmente la Germania e Norimberga.

Una settimana di riposo e poi di nuovo al fronte.  Ma questa volta non più il gelo della Russia, ma le dune infocate dell’Africa, a rinforzo della truppe di Rommel.

Sotto le bombe in Italia

Appena il tempo di salire sul treno, e il fronte africano crolla. Nuova destinazione: Sicilia.
All’inizio bella vita: “presi la tintarella e imparai ad apprezzare il marsala”. E i siciliani?: ” i siciliani sono un popolo orgoglioso, diversissimo dagli italiani al di qua dello stretto di Messina (..) la guerra non sembrava interessarli, tranne che andavano su tutte le furie a vedere le loro pittoresche città devastate dai bombardamenti”.

Ma poi la guerra arriva anche qui, e Reinhold è costretto ad una precipitosa ritirata mentre tutto intorno a loro viene fatto saltare. “Il giorno prima che i genieri facessero saltare il nostro deposito, l’ufficiale in capo si rifiutò di assegnare ad un soldato un paio di stivali nuovi benché sapesse benissimo che il giorno dopo quel paio di stivali sarebbe stato distrutto dal fuoco”: nulla di nuovo…
Un 88 tedesco distrutto in Sicilia

Nell’agosto del ’43, la ritirata da Taormina a Messina, sotto il bombardamento navale inglese, lungo una strada “ cosparsa di mezzi inutilizzati, di morti e moribondi, di cavalli e paesi in fiamme”.

E le truppe italiane? Ne parleremo dopo.

Arrivati al mare, alla squadra di  Reinhold viene assegnata una scialuppa  a remi per raggiungere  Reggio: sovraccarica, 9 uomini , mitragliatrici e munizioni, la barchetta fa acqua. Decisone dolorosa per dei soldati tedeschi: buttare a mare munizioni e armi. Malgrado ciò la barchetta affonda e Reinhold.. sbarca sul continente a nuoto e nudo come un verme, "nella gloria della mia virilità".

Il reparto viene riordinato, stanziato in Calabria. Qui “mi colpì la sconcertante povertà, incredibile quasi, degli abitanti (..) un esiguo numero di signorotti ricchissimi possiede la terra, e la massa retrograda dei poveri è incapace di migliorare la propria condizione: situazione favorevolissima al diffondersi del comunismo”. Forse Reinhold ricordava la situazione tedesca del ’19-’20, ma la Calabria era diversa (3).
Ad agosto Reinhold è di stanza vicino a Napoli. Riceve notizie da casa: i suoi hanno perso per la seconda volta la casa sotto le bombe e si sono trasferiti a Vienna. Ciò gli permette di avere, “incredibile” dirà, una licenza. Il 4 settembre ’43, due giorni prima partenza per Vienna, una novità: “Ieri si è sparsa per le linee una voce incredibile messa in giro dagli italiani, secondo cui il re avrebbe abdicato e il papa (!) si sarebbe assunto il governo: sta succedendo qualcosa di sospetto”: beh, visto che siamo al 4 settembre ’43, ci vedeva lontano.
Reinhold non vuole andare a casa, dove facevano la fame, senza portare nulla. Va a Napoli, nella grande città ridotta alla fame dagli indiscriminati bombardamenti alleati  (oltre 20 mila morti!), riesce a comprare “tre bottiglie di marsala e cioccolata, un paio di calze per la sorella e quattro metri di seta bianca per Oksana”, il suo grande amore lontano. Alla ricerca di olio d’oliva si inoltra da solo nei vicoli oscuri della grande città. Gli si fa incontro una donna: “ho qualcosa che vi piacerà”. Reinhold la segue in casa, ma invece dell’olio, trova “una ragazzina di 14 anni, evidentemente sua figlia, che sfoggiava provocante tutti i suoi innegabili vezzi”. Reinhold resta attonito: “Soltanto duecento lire, disse la madre, ed è carne soda”. Reinhold guarda la seta bianca che aveva comprato per Oksana, rifiuta l’offerta e se ne va velocemente, mentre quella madre ”sgridava la figlia per la sua inefficienza”. Non tutti facevano (e faranno) così (v. https://uomini-in-guerra.blogspot.com/2019/08/napoli-nel-44-nei-rapporti-del-servizio_15.html#more.) 
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Pochi giorni dopo i tedeschi abbandoneranno Napoli: le famose “quattro giornate di Napoli” che, secondo Enzo Erra (4), non ci furono.
Finalmente sul treno verso Vienna.
Il 9 settembre, in viaggio verso il Brennero, una sosta improvvisa: un altoparlante annuncia che l’Italia aveva abbandonato le potenze dell’ Asse passando dalla parte degli Alleati: “Si era verificato ciò che da tempo aspettavamo anzi, speravamo. Stentai a reprimere un respiro di sollievo. Finalmente la situazione si era chiarita”.
La reazione dei tedeschi è immediata: “tutti gli occupanti del treno, in preda all’euforia della licenza, vennero incorporati nella guarnigione locale per disarmare gli ex alleati”. Operazione per altro facile e indolore: “fu affare da poco disarmare gli italiani, nessuno di quei ragazzi oppose resistenza. Non sembravano neppure particolarmente felici del mutamento di rotta del loro paese. A loro importava ben  poco”.

13 settembre: 4 giorni a Vienna con la mamma e la sorella e poi gli ultimi sei giorni della licenza a Rawa, in Galizia” con la ragazza che amo: soltanto i nostri cuori sanno quanto sia cresciuto il nostro amore”. Reinhold non lo sa, ma non la rivedrà mai più.

Il 4 ottobre è di nuovo in Italia, vicino a Capua. ”Di quando in quando troviamo degli italiani (..) quando li incontriamo levano il braccio nel saluto fascista, con eccessiva premurosità, ma appena siamo passati scuotono il pugno e ci maledicono. Ieri un sergente maggiore è stato assassinato con una coltellata nella schiena”.

Arrivano gli Americani.
Dal 7 ottobre guerra guerreggiata contro gli Americani: bombardamenti, mitragliamenti, scontri di pattuglie, fuoco continuo dell’artiglieria. La terribile “battaglia del Volturno”.
Il 13 ottobre ‘43 un avvenimento sicuramente inusuale ( e che gli cambierà la vita) :
Gli Americani entrano a Caiazzo. Reinhold  era vicino
Notare la bimba dietro al soldato: forse  foto di "posa"?
(da The war against germany and Italy
 Center of military history US Army, Washington DC, 1988)


Reinhold è di pattuglia con tre uomini, nella vallata del Volturno, nei pressi di Caiazzo:  sotto il fuoco si dirigono verso un fossato. Sorpresa: acquattati nel fosso un gruppo di circa otto americani che “non si erano accorti del nostro arrivo. Non si poteva vedere bene ma sembravano feriti. Qualcuno imbracciava un fucile” : forse un centro di primo soccorso. I tedeschi puntano i fucili, un americano, il medico, “si drizzò lentamente alzando le mani: non sparate!” Reinhold conosce l’inglese, capisce e risponde “Niente paura, consegnate le armi”.

Lì, in quel fossato, sotto il fuoco del bombardamento, 12 uomini, 8 yankees e 4 tedeschi, quasi chiusi in una bolla fuori dal tempo, vivono un’esperienza straniante e straniati. L’atmosfera è tesa, basterebbe un gesto brusco, un movimento per scatenare sui prigionieri un inferno di fuoco. Ma tutti mantengono la calma. Uno degli americani, ferito, con una striscietta sull’elmetto (un tenente), si appoggiava debolmente sull’orlo del fossato. Reinhold riconosce in lui un ufficiale, gli rivolge la parola (conosce molto bene l’inglese), come se fossero due passeggeri che si incontrano casualmente in uno scompartimento di treno. Si guardano, si parlano, prima con imbarazzo, poi con maggior tranquillità. Si scambiano i nomi (“lieutenant Lindsey, di Dallas, Texas, Unteroffizier Pabel, di Amburgo”).

Sotto gli occhi stupiti e perplessi dei loro uomini, il dialogo continua, non più fra nemici, ma fra partecipi della stessa tragedia.
E sotto le esplosioni, due uomini, il sergente tedesco e l’ufficiale americano, mentre bombe, raffiche e proietti di mortaio solcavano il cielo, scoprirono di non essere due nemici, ma due uomini che di diverso avevano solo la divisa, e che non basta una divisa diversa per uccidersi a vicenda.
Fra i due uomini, sotto gli sguardi forse attoniti dei loro compagni, il dialogo continuò.
Il tenente dice al tedesco che la guerra per loro era ormai persa, di approfittare dell’occasione per arrendersi, di restare lì con loro in attesa dell’arrivo degli altri americani.
Ma Reinhold non può accettare: “Venga allora a trovarmi dopo la guerra”.

Altri americani appaiono in lontananza, i tedeschi devono andarsene. Reinhold scrive il suo nome sull’elmetto del tenente, poi si allontana coi suoi lasciando incolumi e liberi i soldati americani. 
Non sarà un addio: dopo la guerra i due uomini si incontreranno nuovamente. E sarà un incontro molto importante per entrambi.

(E chissà che valore potrebbe avere oggi quell’elmetto americano firmato da un sergente tedesco. Ma forse qualche "esperto" lo decreterebbe una patacca?... )


Reinhold e i suoi si allontanano. Ma non fanno molta strada: poche centinaia di metri, e cadono sotto il fuoco incrociato di mitragliatrici americane e mortai tedeschi.
Reinhold viene ferito al torace. Cade a terra. Deve cercare una protezione: penosamente striscia verso il fossato dove aveva lasciato gli americani. Uno di loro lo vede, balza fuori, afferra il ferito, lo trascina al riparo. Il tenente Lindsey lo guarda sorridendo: “Vede sergente, gli avevo detto di restare con noi. Ora sa cosa capita a chi disobbedisce ai superiori”: Reinhold sorride e sviene.

Dopo alcune ore, i feriti vengono raccolti e portati in un centro di primo soccorso americano, poi nell’ospedale di campo di Avellino, dove viene curato. Lì Reinhold fa la conoscenza dei “cacciatori di ricordi” che gli prendono le mostrine, e degli addetti alla guerra psicologica “che si attaccano al nemico quando sono ancora in preda allo sfinimento della battaglia”.

Poi incomincia il viaggio verso la prigionia.
A Salerno “le ragazze italiane, che pochi giorni prima avevano liberamente elargito i loro favori ai soldati tedeschi, circondarono l’autoambulanza per coprire di baci l’autista”. Al ferito tedesco, sputi e insulti.

Quindi trasferimento via mare a Biserta, in Africa settentrionale. All’ospedale Reinhold fa la prima conoscenza con la stampa americane: il Reader’s Digest (con un articolo critico verso la Russia), un fumetto (“un accorgimento per presentare la storia senza bisogno che uno si affatichi minimamente il cervello”) e altre riviste americane: un conglomerato di sesso, propaganda di guerra, affari, spunti religiosi che lo lasciano perplesso.

All’ospedale incontra un altro prigioniero, il tenente Gobi, italiano: ”ecco un uomo appartenente ad un esercito che ci ha traditi: dovrei odiarlo, ma non posso costringermi a farlo, perché vedo in lui una persona. (..) Mi accorgo che quest’uomo, benché ufficiale mio nemico, è più vicino a me di molti altri che indossano la mia stessa uniforme”. Incontra anche soldati neri: con loro parla amichevolmente, finché uno gli dice che "ero stato l’unico bianco a rivolgergli una parola amichevole da quando era entrato nell’esercito e che a loro erano riservati tutti i peggiori servizi": ma non erano i tedeschi i razzisti?

Dopo Biserta, a dicembre, il Marocco: pessima esperienza nel campo provvisorio di prigionia, con le sentinelle (“che evidentemente non erano mai state al fronte”) che prendevano i pacchi della Croce rossa tedesca e “se li mangiarono lì, davanti ai nostri occhi”.

Il 25 dicembre ’43 imbarco su una nave diretta negli Stati Uniti, il 2 gennaio ’44 sbarco a Norfolk, in Virginia.

Incomincia la prigionia sul suolo americano.
E incomincia anche una storia, una bella vicenda, che durerà dieci anni

Prigionia e fuga

Il campo Ellis
(da https://icl.coop/the-lost-city-of-camp-ellis/
/

Non starò ad annoiarvi col riassunto delle pagine che dedica al periodo della prigionia, vissuto in condizioni accettabili, e certo migliori rispetto agli anni di guerra: leggete il libro (lo consiglio).
Prima destinazione: il campo di Prigionia Grant, nell’Illinois, poi a Fort Sheridan, in punizione per aver inoltrato una protesta scritta dopo essere stato insultato da una sentinella, infine al campo Ellis, nei pressi di Peoria, in Illinois. Era un campo a “minimum security” (sicurezza minima): “ Dopo un processo di screening, i nazisti hardcore (!) furono mandati in altri campi. (The holding for POWs was minimum security. After a screening process, the hardcore Nazis were sent to other camps).(5)
prigionieri al lavoro nel Camp Ellis
(da https://icl.coop/the-lost-city-of-camp-ellis



Durante quei mesi Reinhold cercò di conoscere meglio possibile lo “stile di vita” americano, favorito anche dal fatto che i prigionieri erano obbligati a lavorare nelle vicine fattorie: i rapporti coi contadini erano buoni, spesso quasi famigliari. Nel campo per le sue ottime conoscenze dell’inglese Reinhold svolgerà il compito di interprete nell’infermeria, interfaccia tra custodi e custoditi: lavoro interessante, ma svolto sul filo del rasoio per il pericolo costante di essere giudicato dai compagni “collaborante”: nel campo le maggiori tensioni erano infatti causate da una minoranza di irriducibili che credevano ancora alla vittoria, “fanatici tutti d’un pezzo che esercitavano una vera e propria tirannia sui compagni di prigionia”.
Ma era anche un lavoro utile: Reinhold sfruttava ogni occasione per cercare di capire dove fosse, cosa c’era fuori dal campo, dove fossero le città. Perché aveva un chiodo fisso: fuggire. Non si stava male, tutto sommato, in prigionia: il cibo (e il trattamento) erano buoni (i tedeschi detenevano in Germania molti prigionieri di guerra alleati, e eventuali maltrattamenti sui POW tedeschi avrebbero provocato ritorsioni), ma l’ uomo nasce libero, non può vivere dietro un reticolato”.
Reinhold voleva fuggire.
Finita la guerra (e cessato quindi il pericolo che la Germania potesse esercitare rappresaglie sui prigionieri alleati nelle sue mani), il trattamento dei prigionieri nel campo peggiorò: il lavoro da volontario divenne obbligatorio mentre si diffondeva la voce che i prigionieri non sarebbero tornati a casa ma consegnati ai francesi per essere usati come lavoratori forzati (cosa che in effetti capitò in Europa a migliaia di prigionieri tedeschi). Furono anche eseguite condanne a morte su  prigionieri, rinviate fino a quel momento per timore di rappresaglie tedesche.
Reinhold comincia a preparare il suo piano di fuga.

Fuggire, ma non, come altri, con lo scopo impossibile di raggiungere il Messico (ricordiamo la grande fuga da Papago Camp) o anche solo per “fare un dispetto” alle guardie: lui voleva fuggire, raggiungere una grande metropoli, perdersi e vivere in essa.
Reinhold studiò con meticolosità la sua fuga: procurarsi un abito civile (non poteva scappare con la sigla POW stampata sul didietro: tingerà i pantaloni nel pentolone del cuoco), procurarsi un po’ di denaro (15 dollari!), scoprire dove andare e come fare.
L’ultimo risultato fu il più facile da ottenersi: nelle sue visite nei vari uffici del campo c’erano giornali, carte e mappe geografiche appese ai muri; il paese più vicino era Peoria, da lì un autobus raggiungeva Chicago (la sua meta) a oltre 250 km. di distanza.
Per gli altri ci volle astuzia e pazienza: leggete il libro!

A guerra ormai finita,  il 9 settembre 1945, di giorno (!) dopo l’appello del mattino Reinhold mette poche cose nel suo sacco (l’astuccio per ls barba, calze, il diario, due libri) si infila sotto il debole reticolato, si allontana dal campo, fa l’autostop (tipicamente americano!), chiacchiera con l’autista, raggiunge Peoria, prende l’autobus, arriva a Chicago: libero.
Ecco come la sua fuga viene ricordata in The lost city of Camp Ellis, di C. Bradford " fra i quasi 5000 prigionieri “c'è stata solo una fuga riuscita, e questo a causa dell'inglese ( cioè del fatto che parlava bene l’inglese) del prigioniero di guerra. "Davvero non è scappato", dice Cornelius. "Ha appena superato la staccionata, è uscito, ha fatto l'autostop per Peoria e ha preso un treno per Chicago (..)”(6)
Reinhold è a Chicago, la sua meta.


La clandestinità: full immersion nell’ american way of life

I primi due giorni a Chicago furono durissimi: una notte passata in un parco, la seconda in un cinema aperto tutta la notte.
Subito la ricerca di un lavoro, trovato facilmente: sguattero/lavapiatti in un ristorante. Orario lungo, paga ridicola, ma pasti garantiti.
Da lì iniziò la sua scalata alla “vita americana”: da un ristorante all’ altro (come lavapiatti, non come cliente), tanto da potersi pagare una camera in un misero alberghetto.

Ad un certo punto, il panico: il padrone per regolarizzare la sua posizione gli chiede il numero della tessera della Previdenza Sociale. Reinhold prima tergiversa, pensando di cambiare lavoro, poi decide che non può continuare a fuggire e…va a chiedere la Tessera. “Feci il grande passo, in ascensore fino al quattordicesimo piano (..) L’impiegata alzò appena gli occhi dalle cartelle. Si? (…) Una domanda per una tessera della Previdenza Sociale, per favore (..) Maschio o femmina?“  Poi gli bastò inventarsi un nome, un manifesto sul muro: "Carbone Brick, il migliore”, ed ecco pronto il nome, Brick. Pochi minuti dopo, Reinhold uscì con in mano la preziosa tessera.

Con un documento “in regola” poté cercare un lavoro più sicuro, in un ristorante migliore, con un vero stipendio che gli permette di affittare una stanza in una pensioncina. Dopo qualche mese, nell’aprile del ’ 46, finalmente un laoro vero: commesso in una libreria. Fra i libri, il prigioniero tedesco evaso si sentiva a casa sua. Ben presto fu apprezzato e in sei mesi fu promosso direttore notturno, responsabile del negozio dalle 18 a mezza notte. Ciò gli permise di cercare un secondo lavoro come spedizioniere in una ditta di prodotti medicinali: Reinhold incomincia a “inseguire il dollaro”. Prende anche la patente: ora i documenti regolari sono due (negli USA non esiste la carta d’identità, i documenti principali sono la patente e, se necessario, il passaporto).

La migliore sicurezza economica gli permette di aiutare i suoi in Germania, dove si faceva la fame, iniziando una regolare corrispondenza (precisando che “viveva in mutate condizioni” e firmandosi col nuovo nome) e inviando loro regolarmente pacchi di viveri. Fra le lettere ricevute, anche quelle sempre più rade di Oksana, sempre più stereotipate, finché, come ricordato prima, tutto finì.

Chicago nel 1953
( da httpswww.hemmings.comstories20150409chicago-1950s


Nella  libreria si accorge che spesso venivano richiesti libri esauriti o di difficile reperibilità, e che non c’era nessuna struttura per ricercarli.
Decide di fare il gran passo: mettersi in proprio e aprire un ufficio per la ricerca di libri difficili da ordinare e spedire via posta: una sorta di Amazon o e-bay in piccolo.
Inizi duri, molto duri, ma poco per volta l’attività si stabilizza.
Poi anche una vita sociale, gite sul lago, conoscenze, amici.

E finalmente, un nuovo, profondo amore, Avis.
Con lei, Reinhold finalmente poté aprirsi. Trovò la comprensione data dall’amore e dalla fiducia.
Col tempo arrivò il matrimonio. Serviva il certificato di battesimo: un amico in Germania, conosciuta la situazione, glielo fece avere col nuovo nome. “Ci sposammo alla chiesa cattolica di St. Andrew a Chicago e nessuno di noi fu giammai più felice”. Nel giugno del ’52 nasce il primogenito.

Ma il 9 marzo del ’53, mentre la moglie è in attesa del secondo figlio, qualcuno bussa alla porta: è l’FBI.
La lunga caccia al pericoloso evaso Reinhold Pabel, si è conclusa, il cerchio si è chiuso.

Una fine e un nuovo inizio

Il 10 Marzo prima udienza in tribunale.
Reinhold viene rilasciato su cauzione (1000 dollari, raccolti con grande difficoltà).
Inizia un periodo angoscioso tra continue altalente di speranze e delusioni. Non può essere accusato di immigrazione clandestina (in USA non era certo arrivato di sua spontanea volontà), la fuga dal campo non era un reato, anzi, un diritto di ogni prigioniero, mai compiuto violenze, non aveva falsificato documenti, la tessera sanitaria l’aveva chiesta e gliela avevano data, la patente era regolare. L’unica cosa che potevano fargli era rimandarlo in Germania,famiglia o non famiglia.
Ma Reinhold non ci sta: vuole restare in Usa, dove ha un lavoro, un’attività, una moglie (che lo sostenne sempre), un figlio, un altro in arrivo. Tornare in Germania vorrebbe dire abbandonarli.
Reinhold ora scopre l’altra faccia dell’America: quella dei media, della potenza dell’opinione pubblica. Il suo caso diventa famoso, un prigioniero tedesco evaso che sfugge alla caccia per quasi otto anni e si integra nella città non era cosa di tutti i giorni: interviste alla radio e in televisione, articoli sui giornali, lettere a lui e ai giornali da tante persone che lo appoggiano. Si fa vivo perfino.. il tenente Lindsey, quello di Dallas e del Volturno. E non solo lui: anche un altro soldato del 13 ottobre ’43 lo riconosce. Entrambi lo aiutano con interviste, entrambi verranno al processo e parleranno in sua difesa, mentre giornali, televisione, radio (con poche voci discordi) lo appoggiano: chi disse “ è la stampa, bellezza”?
Si muove perfino un senatore e un onorevole.
Infine l’unica accusa che resta in piedi è che lui si trovava in Usa senza un visto valido! Il pericolo era un decreto di espulsione.  Ciò avrebbe significato dover abbandonare moglie e figli: una punizione che non diene conto che avrebbe distrutto una famiglia, colpendo quindi anche due cittadini americani, la moglie e il figlio. Incomincia il periodo forse più angoscioso per Reinhold, che mobilita tutte le sue forze per non essere  costretto ad abbandonarli,

Il nove giugno finalmente la sentenza: non più espulsione ma partenza volontaria: non è il massimo, ( qualche contentino dovevano prenderselo!) ma almeno ciò avrebbe permesso poi un rientro in USA.
Entro il 20 settembre avrebbe dovuto lasciare gli States.
A questo punto un’improvvisa difficoltà: un altro Ufficio gli disse che prima avrebbe dovuto pagare della tasse arretrate: insomma, da un parte gli si ordinava di partire, dall’altra glielo impedivano.
Alla fine il 15 settembre ’53, imbarcato sul Neptunia, deve lasciare gli Stati Uniti: “ma era vero che me ne andavo a casa? O non è più giusto dire che lasciavo la mia casa?” .
Lasciava la sua casa, ma da Amburgo fece di tutto per ritornarci.
Amburgo dopo la guerra e i terribili bombardamenti
del 1943


E ci ritornò, dopo un febbrile tira e molla con la burocrazia, il 14 febbraio 1954.

A New York, all’arrivo, sul molo c’era ad attenderlo una folla di fotografi e reporters. Di corsa all’aeroporto, poi Chicago: qui, altri giornalisti, ma soprattutto Avis, un bimbo festante e la nuova arrivata di cinque mesi.
Reinhold era a casa.

Qui finisce il libro e finisce anche la nostra storia, una storia di un uomo che ha imbracciato senza odio un fucile e che ci ha testimoniato che pur sotto una divisa diversa Feinde sind auch Menschen, anche i nemici sono persone.

Il resto riguarda solo Reinhold e la sua famiglia: chi vorrà potrà leggerne su Wiki.

*******

Piccola nota in margine: il  libro di Pabel è stato tradotto in quattro lingue ed ha avuto 17 edizioni ( una con una copertina a mio avviso del tutto inadatta allo spirito dell'opera) 


Quello che resta ora di camp Ellis
(da https://icl.coop/the-lost-city-of-camp-ellis)

APPENDICE

Per chi fa ricerche Internet si rivela una miniera inesauribile: basta non mollare la presa e si scoprono sempre nuovi particolari.

E’ quanto mi è successo  nella ricerca su Reinhold. Dopo aver letto il suo libro, volevo capire se fosse possibile vedere le cose anche dal punto di vista “americano”. Gira e rigira in internet ho finalmente trovato i ritagli dell’Associated Press di marzo  ’53 (e mesi seguenti) relativi alla vicenda di questo  prigioniero. In pratica si tratta delle notizie che l’AP inviava ai vari giornali come basi per gli articoli.

Ve ne presento, con qualche  adattamento e una traduzione un po’ scolastica, le parti più interessanti.

Chicago, luglio -(ap) oggi ad un prigioniero di guerra tedesco evaso ripreso dopo otto anni di libertà è stato dato il permesso di partire gli Stati Uniti volontariamente con la prospettiva che potrebbe un giorno tornare come cittadino. 

 Reinhold Pabel, sergente panzer di 38 anni catturato nel 1943 in Italia, dopo la sua fuga da un campo di prigionieri di guerra dall’Illinois,  si stabilì  a Chicago, (..) si sposò e aprì un'attività libraria.

In seguito alla sua cattura da parte di agenti dell'FBI il 9 marzo, sono stati avviati dal Servizio di Naturalizzazione e Immigrazione degli Stati Uniti i provvedimenti di espulsione.

C 'era un forte sentimento a favore di Pabel sulla base del  suo adattamento alla società americana e della testimonianza a suo favore di due ex ufficiali dell'esercito americano che erano stati catturati da Pabel poco prima che lui stesso fosse catturato. 

L’'udienza di oggi riguardava l'accusa che Pabel si trovasse illegalmente negli Stati Uniti, poiché non possedeva un visto. (..) il funzionario incaricato dell'inchiesta speciale per il servizio ha stabilito che Pabel potrebbe lasciare il paese volontariamente.

Pabel ha in programma di andare  in Messico da solo mentre sua moglie, avis, 21 anni, inizia le mosse legali per farlo tornare in questo paese; visto che se ne va volontariamente  probabilmente potrà rientrare (..).

 Pabel quando è stato arrestato ha detto [che]  la moglie di Pabel, una cittadina americana, non sapeva che fosse un prigioniero evaso, (pabel's wife, an american citizen, had no knowledge he was an  escaped prisoner, pabel said when he was seized).    La coppia ha un maschio, Christopher, e aspetta un altro figlio.  

Durante i procedimenti di espulsione P.   Lindsey, 43 anni, di Dallas, Texas, avvocato, e M. Cameron, 34 anni, Birmingham, Michigan (..) hanno testimoniato che Pabel li ha protetti dai danni dopo la loro cattura da parte di Pabel  e una squadra di soldati tedeschi in Italia.

 (..) l'ora della partenza di Pabel sarà fissata in una data successiva.

 (da  https://archive.org/details/sim_associated-press-clippings-file-europe-disorders_july-1-23-1953



NOTE

1) "Nel dicembre 1918 il Servizio Sanitario statale tedesco stimò fossero 763.000 i propri concittadini deceduti per fame e malnutrizione in seguito al blocco navale imposto alla Germania durante la I G.M. dalla Royal Navy britannica alla Germania"  (da https://it.wikipedia.org/wiki/Adolf_Hitler#La_Germania_dopo_la_sconfitta),
2) “Nel 1940-1941, le autorità sovietiche condussero quattro deportazioni di massa dalla parte orientale della Seconda Repubblica Polacca, abitata da ucraini, bielorussi, ebrei, lituani, russi, tedeschi, cechi e armeni, oltre che ovviamente polacchi. Circa 335.000 cittadini polacchi finirono in Siberia, e in altre aree remote dell'URSS: le operazioni di trasferimento coattivo furono supervisionate dall’NKVD".
3) La Calabria sarà " la terra dove il fascismo clandestino si mostra più aggressivo (.) Tra l'ottobre 1943 e l'aprile 1944 soprattutto i centri di Nicastro e Sambiase (oggi Lamezia Terme), subiscono uno stillicidio di azioni dimostrative, spesso a carattere dinamitardo: vengono presi di mira esponenti antifascisti e sedi del PCI, ma anche i carabinieri". (A. Carioti, Gli orfani di Salò, Mursia, p. 29).
4) Enzo Erra, Napoli 1943: Le quattro giornate che non ci furono, Longanesi 1993. Vedi anche http://www.albertoperconte.it/?p=106
6) ibidem.
Leonello Oliveri
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