14 GIUGNO 1940: LA MARINA FRANCESE
BOMBARDA GENOVA E SAVONA
Leonello Oliveri
Il 10
Giugno di 77 anni fa l'Italia dichiarava guerra alla Francia. A Mussolini
servivano alcune centinaia di morti per sedersi, di lì a pochi mesi -così
assicurava- al tavolo del vincitore. Come sia andata, è noto a tutti: i morti furono alcune centinaia di migliaia,
i mesi quasi 60 e Mussolini finì come
sappiamo.
La guerra per la popolazione civile cominciò bruscamente, in Liguria, a Savona e a Genova, alle 4,26 del 14 giugno, quando alcune esplosioni provenienti dai serbatoi combustibili di Vado Ligure, seguiti due minuti dopo da altri boati provenienti dalle installazioni metallurgiche di Savona diedero la sveglia agli abitanti. Contemporaneamente altri scoppi si sentivano a levante, verso Genova. Erano le granate provenienti dalla flotta francese, che stata impunemente bombardando la Riviera Ligure.
La torpediniera Calatafimi |
Si
trattava della 3a squadra navale francese, guidata dal Contramm. Duplat.
Composta da 4 incrociatori da 10.000 tonn. (Algerie, Foch, Dupleix, Colbert,
con 8 pezzi da 203) scortati da 11 caccia da 2700 tonn.e 4 sommergibili, era
partita dalla rada di Tolone alle 2110
del 13. Come obiettivi aveva le installazioni industriali di Vado Ligure,
Savona e l'area industriale- portuale di Genova.
La copertura
aerea era assicurata da 9 bombardieri
La missione, ritorsione ad un'incursione aerea
italiana su Tolone, aveva però anche motivazioni psicologiche.
Giunta
a 20 miglia a sud di Capo Vado alle ore 0348, la squadra francese di divide in
due gruppi, con obiettivo rispettivamente Vado/Savona e Genova.
Alba di fuoco
Alle 0426 l'incrociatore Algerie inizia il fuoco da
una distanza di circa 15000 m. sugli
insediamenti industriali di Vado: i serbatoi combustibili, la Soc. Monteponi,
colpita da 32 granate da 203, la soc. Carboni fossili, l'Agip. "Si
scorgono, scriverà più tardi il cap. di vascello francese De Loynes nella
sua relazione, fiammate e colonne di fumo che si innalzano dai
serbatoi". Due minuti dopo il Foch apre il fuoco sull'Ilva di Savona:
"il bersaglio scompare nel fumo delle esplosioni".
Contemporaneamente i caccia si fanno sotto costa ed aprono il fuoco sui
depositi della Petrolea e su altre officine di Savona.
La reazione italiana è pronta ma inefficace: la XIII
flottiglia MAS attacca i caccia
francesi al largo di Bergeggi, col
lancio di 6 siluri: l'incrociatore Foch
manovra per evitare, i caccia reagiscono e i Mas si allontanano senza aver
conseguito nessun risultato; il MAS 535
e il 534, colpiti da schegge di granata lamentano anzi alcuni feriti a bordo.
Altrettanto inutile è l'intervento della batteria di Capo Vado.
Anche il treno armato n. 3, di stanza -se così si può
dire -alla Galleria della Torretta ad
Albisola (l'area dove sorgeva il suo bunker di servizio è oggi occupata da un
tratto della nuova passeggiata di Albisola Superiore) interviene con i suoi
pezzi da 120/45 : 93 colpi, nessun risultato. Contro di lui sarebbero stati
tirati, così abbiamo letto, 60 colpi da
203 e 138 di calibro minore, anche questi senza esito
Alle 448 l'attacco su Savona cessa: In totale sono
stati sparati da parte francese circa 400 colpi da 203 e altrettanti da 138,
300 da quella italiana. Le navi francesi si ritirano indisturbate.
A Genova: bombe dal mare mentre la Calatafimi va all'assalto
Intanto il 2° gruppo navale si dirige su Genova: dalle
426 alla 440 incrociatori e caccia francesi tirano sul porto e sugli
stabilimenti dell'Ansaldo.
A questo punto
l'imprevisto: dalla foschia sbuca all'improvviso una nave da guerra italiana,
una piccola, vetusta torpediniera, la Calatafimi. La vecchia nave, 967 tonn., armata
con pezzi da 102, si trovava di scorta
ad un posamine: vista la squadra francese, il comandante, della Calatafimi,
tenente di Vascello Brignole, malgrado la sproporzione delle forze, non ha
esitazioni e si lancia contro la squadra francese. Spara coi piccoli pezzi,
lancia 2 siluri da 3000 metri, poi inverte la rotta .Una seconda coppia di
siluri si inceppa nei tubi di lancio.
L'attacco della Calatafimi nella stampa dell'epoca |
Anche le difese terrestri rispondono al fuoco: dal
porto di Genova il pontone armato GM 194 con i suoi pezzi da 381 tira 3 colpi,
poi deve sospendere il fuoco per il
vento che spinge il fumo delle caldaie nella coffa della direzione di
tiro ([1]),
il pontone 269 riesce a sparare 1 colpo da 190. Ma il fuoco più vigoroso è
quello della batteria Mameli: 64 colpi da 152 da una distanza di 9000 m. Un proiettile colpisce il caccia
francese Albatros, penetra nel locale caldaie di poppa dove esplode: 14
uomini sono gravemente ustionati e 12 moriranno ritornando a Tolone.
Nella batteria, invece, il pezzo n. 3 va fuori uso.
Alle 0448, in seguito ai danni sull'Albatros e
ai colpi della Mameli che cadono sempre più vicini, anche il secondo gruppo
francese si ritira riunendosi alle navi della prima divisione.
Nel frattempo i 9 velivoli francesi eseguono
un'incursione su Vado e sul campo di aviazione di Novi Ligure, perdendo (ma non
è chiaro se in quella incursione o in una del giorno successivo) un aereo i cui
frammenti furono poi esposti a Savona
Invece i 19
aerei italiani SM 79 decollati da Viterbo e di Pisa non riescono neppure ad intercettare la
flotta in rotta verso la Francia..
Danni a Savona
Allontanatesi indisturbate
le navi francesi, incomincia la conta dei danni e delle vittime. La guerra
mostra subito quello che sarà il suo volto: in prima linea non solo i militari
ma anche le città e i civili. A Savona i morti sono 6 e 22 i feriti. Morti e
feriti, ma in numero minore, anche a Vado-Zinola. Contenuti, nel complesso, i
danni materiali: oltre agli impianti industriali, risultano danneggiati diversi edifici e abitazioni civili. L'ampia
raccolta di fotografie pubblicata nel bel libro di R. Aiolfi, N. De Marco, Bombe
su Savona e provincia, Sabatelli Editore, Savona 2004 illustra eloquentemente i danni subiti dalle
strutture civili: l'albergo del Falco Reale, il Casello ferroviario di Zinola,
il Municipio di Savona (dove andò fra l'altro distrutto l'affresco di Eso
Peluzzi dedicato alle Camice Nere), case danneggiate in v. Grassi, corso Ricci,
via Accorsero. Danni anche alla Stazione Letimbro, Caserma dei RR.CC., linea
ferroviaria. Colpito pure il cimitero di Zinola: smettetela di uccidere i
morti, scriverà più tardi un poeta.
L'affresco di Eso Peluzzi distrutto dalla cannonate (da R. Aiolfi, N. De Marco, Bombe su Savona e provincia, citato) |
Più limitate le perdite fra i civili a Genova.
Ma il bilancio più pesante,
quello su cui si sarebbe dovuto riflettere, soprattutto da parte dei vertici
militari, fu quello strategico. Di fronte al valore, al coraggio e anche alla
capacità dimostrati dai militari sul
campo (Mas e Calatafimi all'assalto di nemici molto più forti, il treno
armato che reagisce sotto il fuoco, la
batteria Mameli che inquadra e colpisce il caccia francese, uno dei 9 velivoli
attaccanti abbattuto), la spedizione francese rese evidente la fragilità del
nostro apparato militare: l'attacco delle motosiluranti (sei siluri) senza
esito, due siluri della Calatafimi che - a quanto pare- si inceppano nei tubi
di lancio, il pontone armato che non può sparare perché accecato dal suo fumo,
un pezzo della Mameli che va in avaria.
Soprattutto
fu evidente l'incapacità dell'apparato militare a provvedere alla difesa delle
nostre città e dei loro abitanti: una flotta nemica poteva arrivare inavvertita
e praticamente indisturbata fino davanti a Genova e ritirarsi altrettanto
indisturbata, con l'assoluta mancanza di ogni attività di ricognizione da parte
della nostra aviazione, le grandi unità
della Marina del tutto assenti, i nostri aerei che non riescono ad intercettare
le navi nel viaggio di ritorno. Era evidente che la nostra gente era stata
buttata in una terribile avventura con
mezzi del tutto sproporzionati rispetto alle velleità e alla reazione che si
sarebbe scatenata.
Incominciano le bugie: per la Stampa del 15/16 giugno '40 la formazione francese "è stata attaccata e volta in fuga e un cacciatorpediniere affondato" |
Per trarre - solo parzialmente - le conclusioni si dovrà aspettare fino al 25 luglio
e poi, nel peggiore dei modi, arriverà l’8
settembre del '43.
Una addomesticata descrizione dello scontro del 14 giugno è visibile in questo filmato dell' Archivio Luce
Leonello Oliveri
Propr. Lett. Riserv.
Riproduz. vietata
[1] ) Il
“Pontone Armato G.M. 194”, nacque come
“monitore Faà di Bruno” nel 1915 dal Regio Arsenale di Venezia.
Si trattava di un pontone corazzato, una sorta di grossa chiatta dotata di
motore e di mediocrissime capacità marinare, costruita per sorreggere due grossi
cannoni da 381/40, realizzati per una corazzata poi non impostata. In pratica
si trattava di una batteria galleggiante. Come armamento secondario disponeva
anche di 4 cannoni da 76/40.
Durante
la I Guerra Mondiale fu ancorato nel golfo
di Trieste da dove bombardò le posizioni austriache sul Carso (e anche
obiettivi nella città di Trieste). Dopo la rotta di Caporetto fu ritirato
prima a Venezia poi ad Ancona.
Durante
la II Guerra Mondiale fu rimorchiato a Genova dove fu utilizzato, coi risultati
che abbiamo visto, come batteria antinave e antiaerea galleggiante.
Dopo
l’8 settembre passò sotto controllo tedesco che gli cambiò il nome (diventa Biber)
e lo trasferì nel porto di Savona.
Il Pontone GM 194 |
La
nave fu messa nominalmente sotto il comando del ten. di vascello della
Kriegsmarine Viebering ma l’equipaggio (130 uomini, nella regolamentare
uniforme della Marina Nazionale Repubblicana)) era esclusivamente italiano. I
tedeschi (50 uomini) fornivano solo l’armamento a due delle tre mitragliere da
20 mm. e la guardia ai cancelli.
Sulla fine di questo pontone è interessante quanto si legge alle pagine 649- 651 del I volume del libro “San Marco San Marco- Storia di una divisione” di P. Baldrati : il pomeriggio
del 23 aprile del ‘45 il pontone, mentre l’equipaggio era a terra, stava per
essere raggiunto dalle fiamme della nafta incendiata fuoriuscita da una vecchia
nave che i tedeschi avevano fatto saltare per ostruire il porto. Se la grande quantità
di esplosivo presente a bordo del G.M. 194 ( oltre 17000 kg.) fosse stata
raggiunta dalle fiamme, la consegnante esplosione avrebbe provocato gravi danni
al porto e agli edifici vicini. Visto il pericolo, due membri dell’equipaggio, risalirono a bordo
e autoaffondarono la nave evitando così il pericolo di un’esplosione devastante.