21 giugno 1940: la tragedia del forte Chaberton – una storia italiana
Leonello Oliveri
“Dopo una spaventosa detonazione che fece volare
via
tutte le opere di mascheramento preparate, seguimmo la traiettoria del proiettile col fiato sospeso, Furono, secondi. interminabili. Poi ci arrivò la segnalazione dall'osservatorio: obiettivo quasi colpito, mirare un poco più a destra in basso”'. Con queste parole M. Boglione ricorda, nel suo libro "Le strade dei cannoni, l'inizio della tragedia del forte italiano dello Chaberton, a 3130 m. di altezza sopra Cesana Torinese: la fortezza più alta d'Europa.
tutte le opere di mascheramento preparate, seguimmo la traiettoria del proiettile col fiato sospeso, Furono, secondi. interminabili. Poi ci arrivò la segnalazione dall'osservatorio: obiettivo quasi colpito, mirare un poco più a destra in basso”'. Con queste parole M. Boglione ricorda, nel suo libro "Le strade dei cannoni, l'inizio della tragedia del forte italiano dello Chaberton, a 3130 m. di altezza sopra Cesana Torinese: la fortezza più alta d'Europa.
A parlare è
il lieutenant Miguet; comandante di una batteria di 4 mortai
Schneider da 280 mm. che i francesi avevano posizionato già da tempo nella zona
di Briançon (due a Poet Moran e due a l'Ayrette) con lo scopo preciso di distruggere il forte, costruito dagli italiani
fra il 1896 e il 1906: in tre ore e mezza 57 proiettili da 280, pesanti 205
kg.( [1]), si abbatterono sulle sue otto torri cilindriche, armate ciascuna
di un cannone da 149/35, mettendone fuori combattimento 6. Nel forte ci furono
10 morti e una cinquantina di. feriti.
Il bombardamento era l'ultimo atto di una vicenda
iniziata già nel 1897, quando il comandante del Servizio Segreto francese,
osservò preoccupato che "'gli italiani stanno progettando di costruire
sulla cima di quel monte un fort des nuages che sarebbe un grande pericolo per
Briançon. Dobbiamo assolutamente scoprire ogni dettaglio di questa
fortificazione raccogliendo il maggior numero possibile di informazioni e di fotografie".
E il forte che gli italiani stavano costruendo
poteva rappresentare, allora, un notevole pericolo.
Il monte Chaberton (3130 m.) sovrasta il colle del
Monginevro, tradizionale via di invasione dell'Italia dalla Francia. Di li
erano passati Carlo VIII nel 1494 e Luigi XIII nel1629. Di lì passeranno nel
1747 le truppe francesi ditte alla sconfitta dell’ Assietta. Di lì i cannoni “ad
azione lontana" previsti per l’armamento potevano dominare la conca di
Briançon.
La costruzione del forte era stata decisa nel 1896
quando, in seguito all'adesione del Regno d'Italia alla Triplice Alleanza
con l'Austria e la Germania, gli Alti
Comandi italiani ritennero necessario usare una grossa aliquota del magro
bilancio dello Stato per spese militari, in particolare per fortificare la
frontiera occidentale. I lavori determinarono innanzitutto la realizzazione di una strada militare di 14 km
da Fenils fino alla cima, nonché di una teleferica per il trasporto dei
materiali dal paese al forte. La sommità del monte fu abbassata di 6 metri,
spianata e sul versante italiano fu scavato uno scalino di 12 metri proprio
sotto lo spiazzo così ottenuto. Sulla base
dello scalino venne costruito i1 forte, protetto dal ciglione del monte.
Semplice nella sua pianta, era costituito da una lunga caserma di m.113x18
comprendente i locali logistici cui poi si aggiunsero una capace santabarbara e
altri locali di servizio scavati nelle viscere stesse del monte.
Scatolette di latta
in cima a un palo ...
L 'armamento era installato in otto torri
cilindriche in muratura emergenti dal soffitto della caserma, alte circa 8
metri, larghe 7, distanti 5 metri dallo spalto del monte che le proteggeva
anteriormente. Esse erano formate da un cilindro cavo in blocchetti di
calcestruzzo con un carico di rottura di 100-150 kg/cm2. Non fu
usato il cemento armato, tecnica perfezionata già nel 1897. All'interno vi era
un cilindro pieno in muratura alto come la torre con l'arma sulla sommità. Fra il cilindro interno e quello cavo esterno vi era
un’intercapedine nella quale passava la scala elicoidale che arrivava fino al
cannone e il montacarichi verticale per i proiettili.
Sulla sommità di ciascuna torre era installato in una casamatta leggermente blindata un cannone da 149/35 brandeggiabile a 360° in sistemazione denominata “Armstrong Montagna”. L’arma, con un alzo in elevazione da + 25° a – 8°, tirava a 628 m/s un proiettile di peso variabile fra i 37 e i 45 kg. ad una distanza massima, vista la conformazione della casamatta, di 16000 m.
Il cannone era posto all’interno di una cupola
blindata solidale col brandeggio del cannone e quindi in grado di ruotare di
360° grazie ad una corona dentata fissata sulla sommità della torre. In realtà
la protezione era piuttosto labile: 5 cm. nella parte di massimo spessore, sul
davanti, 2,5 sul tetto e 16 mm. sui fianchi e sul retro (dove poteva essere
perforata anche da un proiettile di mitragliatrice pesante! Era una protezione
“ destinata- come si legge su documenti ufficiali degli anni ’30 – a opere permanenti di
alta montagna che non dovevano temere offese provenienti dall’alto” : ma
proprio dall’alto arriverà l’offesa. Evidentemente gli alti comandi italiani
avevano dimenticato – o non conoscevano- gli esperimenti fatti dai francesi sul forte della Malmaison nel
1886 con mortai da 220 dotati di “proiettile torpedine” caricato con un nuovo
tipo di esplosivo, la melinite, esperimenti che avevano evidenziato gli effetti
devastanti dell’arma a tiro curvo sulle opere del forte.
Ogni cannone era servito da 8 uomini.
La scelta delle torri in muratura era
architettonicamente originale, esteticamente pregevole ma militarmente e
funzionalmente quantomeno arrischiata, per non dire suicida. Essa era spiegata
dalla necessità di elevare i cannoni rispetto all’altezza che la neve avrebbe
raggiunto nella brutta stagione (il forte doveva essere presidiato
costantemente). Essendo però tutto il complesso costruito su un gradino scavato sul versante italiano del monte, solo
la sommità delle torrette sporgeva verso la Francia. Questo fatto a ben
pensare rendeva inutile la scelta della
costruzione in torrette, visto che la neve si sarebbe comunque accumulata sulla spianata del forte
antistante i cannoni e posta quasi al loro stesso livello. In compenso le
torrette sarebbero state esposte alle
conseguenze di colpi caduti alle spalle o direttamente su di loro. Nessun
cannone avrebbe potuto colpirle dal basso- così almeno si pensava-, quindi fu
data poca importanza al fattore protezione: ma le spalle, i fianchi, l’alto e
le stesse torri erano totalmente scoperte a colpi dotati di angoli di caduta
molto elevati, per esempio quelli dei mortai. E i francesi li avevano, e anche
molto grossi, addirittura dal 1880 ([2]). Per
questo, per far fronte all’evoluzione
della minaccia, sarebbe stato più prudente porre i cannoni in cupole corazzate
annegate nel cemento con i locali in caverna: se nei primi anni del ‘900 tale tecnologia era ai primordi,
negli anni ’40 era ormai diffusa. Ma trenta anni passarono senza che il forte
fosse messo in sicurezza.
La sua
costruzione costò, secondo calcoli approssimativi, circa 2 milioni di lire del
1900: allora la paga oraria di un operaio (10-11 ore al giorno) si aggirava
intorno ai 20 centesimi e il pane costava 43-48 centesimi al chilo!
Nel 1906, mentre allo Chaberton venivano montati i
cannoni da 149, nelle officine francesi Schneider veniva approntata l'arma che li
avrebbe distrutti. Infatti in quell'anno l'armata zarista aveva ordinato in Francia dei mortai
da 280 rom. Nel 1915 anche la Francia ne acquistò 18 esemplari, alcuni dei
quali erano ancora operativi nel 1940. Si trattava di un'arma assai pesante
(oltre 16 tonn.) con una canna di 3,35 m. in grado di tirare con un angolo
massimo di 60° a 418 m/s un
proiettile di 205-275 Kg. a seconda del tipo fino ad 11 km. di distanza. Scomponibile
in 4-5 carichi trasportabili su carrelli, poteva essere avvicinata alla prima
linea con una certa facilità. Il ritmo di fuoco non era celere (quattro colpi in 5 minuti), ma gli effetti devastanti, specie su blindature e casematte
leggere come quelle dello Chaberton. In Francia ebbero il battesimo del fuoco
durante la I GM. a Verdun, quando
bombardarono i forti di Vaux e Douaumont.
Distruggete lo Chaberton..
I francesi considerarono subito il forte per
quello che poteva rappresentare: un grave pericolo per la conca di Briançon e
la stessa città: nel 1903, prima ancora che il
forte Italiano venisse armato, era apparso in Francia un preoccupato articolo
sul quotidiano "Libre parole" (quello stesso, per inciso, che
aveva scatenato la campagna contro il capitano Dreyfus). In esso si prevedeva
che i cannoni del forte avrebbero potuto distruggere la città in 24 ore: "quali
misure hanno preso le autorità militari per proteggere questa parte della
frontiera delle Alpi?” si domandava
il giornalista. In verità le autorità militari francesi presero, a tempo
debito, le loro misure, sia difensive (fortificazioni in calcestruzzo e acciaio), sia offensive (artiglierie
adeguate), lo Chaberton, invece, non sarà nei decenni successivi adeguato alle
nuove minacce. Eppure l'esistenza del mortaio
francese da 280 non era ignota alle autorità militari italiane, visto che era
citato in un testo di artiglieria italiano (Cenni sui materiali di
artiglieria di alcuni stati esteri, autore C. Manganoni) stampato nel 1932 a Torino.
"Disgraziatamente, ricorda E. Castellano nel suo bel libro Distruggete
lo Chaberton (ed. Il Capitello), al
quale siamo debitori di parecchie informazioni su quei tragici giorni, l'estatica
ammirazione del forte continuò per molto tempo (..) anche quando era
ormai da considerarsi superato sotto ogni aspetto".
una torre colpita dal fuoco francese |
Nel forte mancavano, nota E. Castellano nel suo libro,
le tavole di tiro relative alla quota di 3000 metri: quelle disponibili per il
pezzo da 149/35 erano infatti riferite ad una quota di 1000. Il capitano Bevilacqua,
comandante della postazione, dovette quindi revisionarle. Le tavole giuste,
riferite alla quota di 3000 m. giunsero al fronte quando la campagna delle Alpi
era ormai terminata, trenta anni dopo l’installazione dei cannoni.
" Mi sembra di uccidere un morto"
La guerra, per lo Chaberton,
inizia il 17 giugno quando apre il fuoco contro i forti francesi Janus, Gondran, Infernet, Trois Tetes. Ma già da due
anni, dal dicembre del '38, i francesi
avevano predisposto adeguate contromisure, allestendo la 6° batteria del 154 Rgt. di Artiglieria su 4 armi senza che il servizio di informazioni Italiano
ne avesse il minimo sospetto. Nell' aprile del ’40 i mortai, suddivisi in due
sezioni di due armi ciascuna, erano stati posti in batteria, ben defilati e nascosti
anche ad un'eventuale ricognizione aerea italiana ([3]).
Il 21 giugno, nel pomeriggio, i mortai francesi iniziano
a loro volta a tirare sullo Chaberton dal vallone delle Cervieres, distante
9300 m. e con un dislivello di oltre 1000 metri. II fuoco era diretto da tre
osservatori (forte Janus, forte dell' Infernet, Col de Granon). Tre osservatori
dalla parte francese, neppure uno efficiente nel torte italiano, la cui
guarnigione non aveva idea circa la provenienza dei colpi e assolutamente
nessun mezzo per controbatterli. I 149/35 italiani bombardarono a ripetizione
il vecchio forte Trois Tetes, pensando che di lì provenisse i1 fuoco: ma il
forte francese, declassato, non aveva neppure i cannoni. Lo Chaberton bombardò
anche il forte Janus: fra il 20 e il 2l giugno l'opera Maginot che vi era stata
costruita fu bersagliata da oltre 1000 colpi dei 149 dello Chaberton (e da una
cinquantina di proiettili di mortai da 210), senza subire gravi danni: fra
l'altro fu colpita anche la campana corazzata
GFM del blocco 4, dove era situato
l' osservatorio: ma il proiettile da 149 1asciò solo una scalfittura sulla
cupola corazzata spessa oltre 20 cm. Proprio dall' osservatorio del forte Janus
deriva, probabilmente, l'unica foto nota scattata dai francesi durante il bombardamento.
la torre 3 |
Uno dei primi colpi francesi, un po' lungo, colpì
la teleferica che univa il forte al paese di Cesana. La sua stazione di arrivo
era stata collocata in prossimità di una torretta del forte, e quindi in
posizione assai esposta: vi arrivavano
anche la linea elettrica e quella telefonica, palificate e non, interrate per
cui il forte rimase quasi subito privo di comunicazioni, tranne quelle radio.
Alle 1715 è colpita la prima torre: un morto ed un ferito grave: nella mezzora successiva
è l'inferno: vengono colpite le torri 5 (4 morti, la casamatta è sbalzata dalla
sua sede e resta in bilico di sghimbescio sulla torre), 4 (due morti), 3: quest’ultima ha addirittura l’intera torretta
scaraventata ai piedi della torre, come un cappello strappato da una folata di
vento. Verso le 18 è la volta della 2 e
della 6: "il bombardamento continua, scrisse nella sua relazione il
ten, francese Miguet, ma mi sembrava di uccidere un morto".
Con l'oscurità i mortai francesi cessano il fuoco. Con
51 colpi avevano costretto al silenzio 6 torri su 8. Al forte restano attive solo
le torri 7 e 8.
La guarnigione, pur nell'impossibilita di
controbattere il fuoco avversario, resiste continuando il fuoco con le torri
superstiti fino al 23 giugno. Tireranno tanto, spesso trasportando proiettili e
cariche a spalla, che la filettatura degli otturatori si consumerà e dovranno
essere riparati.
Anche i mortai francesi continuano il loro fuoco,
tra folate di nebbia che coprono il bersaglio: 6 colpi il giorno 22, 14 il 23 e
24 il giorno successivo, che fu anche l’ultimo giorno di guerra. Nessuno di
questi 44 colpi centrò il forte: Strano bombardamento quello francese: nel
primo giorno in poco più di 3 ore effettive di fuoco 57 colpi misero a tacere 6
torri su 8, nei tre giorni successivi 44 colpi non fecero nessun danno: uno
solo cadde vicino il giorno 22. Per spiegare quella che a noi sembra una
stranezza si potrebbe azzardare un’ipotesi, e cioè che il primo giorno il fuoco
francese venisse diretto, via radio, da un osservatore nascosto situato in
territorio italiano in una posizione con una buona visibilità sul forte, osservatore
poi costretto a spostarsi, o al silenzio, dal successivo andamento delle
operazioni militari. Ma è ovviamente solo un’ipotesi, tra l’altro di uno non
specialista quale è l’autore di queste note.
Il bilancio delle perdite italiane fu di 9 morti
(un decimo spirerà in seguito per le gravi ferite) e una cinquantina di feriti,
alcuni dei quali ustionati. Se si tiene conto che i serventi dei cannoni erano
8 per arma, 64 in totale, si ha un’idea di cosa volesse dire servire ai pezzi
in quelle ore.
Al dramma
manca ancora un ultimo atto: in seguito a quella che Castellano, nel suo
citato libro, definirà icasticamente “una ruggente decisione del comandante
dell’Armata”, i caduti non dovranno essere trasportati a valle (per non
demoralizzare i civili?) ma seppelliti sul posto. Il comandante del forte,
capitano Bevilacqua, dovrà ancora una volta “arrangiarsi” (tipico verbo
italiano), costruire le bare con le tavole dei pavimenti e realizzare con il
cemento disponibile nel forte nove loculi ( era impossibile scavare delle fosse
nella roccia) sullo spalto davanti ai cannoni superstiti.
Terminata la battaglia, si distribuirono le
medaglie: dieci ai caduti (una d’oro, tre d’argento e 6 di bronzo), 4 di bronzo
e 14 croci di guerra al valor militare al resto del personale. Forse sarebbe
stata più utile qualche tonnellata di acciaio e di cemento armato, prima.
L'epigrafe che ricorda i caduti dello Chaberton (dal Web) |
E le lieutenant Miguet, che aveva comandato la
batteria francese? “ Le lieutenant Miguet- leggiamo sul sito web dell’Association des Amis de la ligne
Maginot d’Alsace- ne fut jamais
félicité de sa victoire ni par les Briançonnais à qui il a empêché la
destruction de leur ville, ni par les
militaires qui lui ont même fait remarquer qu’il manquait un boulon sur un
tube ». Tutto il mondo è
evidentemente paese. C’è solo da notare che gli italiano non hanno mai sparato
dallo Chaberton sulla città di Briançon: a bombardare le città, nella II G.M.,
dal cielo, gli specializzati saranno
altri.
Dopo l’armistizio con la Francia il forte restò
inattivo fino all’altro armistizio, quello dell’8 settembre ’43. In seguito fu
saltuariamente presidiato dai tedeschi, che vi costruirono un osservatorio
collegato con il fondovalle da una nuova teleferica, questa volta collocata in
un versante meno esposto, e da reparti della Folgore della R.S.I.
Alla fine della guerra, passato il forte in territorio
francese, le salme dei caduti verranno finalmente trasferite a valle, parte net
cimitero di Cesana Torinese (dove un monumento, inaugurato nel 1978 nel parco,
li ricorda ancora) parte ai luoghi di origine.
Nel '57, infine, il forte fu smantellato di tutto
il materiale ferroso, cannoni compresi: portati a valle da una ditta di Cesana
fecero il percorso inverso a quello che avevano fatto all'inizio del secolo e
conclusero a loro vita negli altiforni genovesi della Sogena
A partire da allora i ruderi del forte divennero
quello che sono tutt' ora: una suggestiva meta per faticose scarpinate (saggiamente dal 1987
e stato vietato l'accesso ai veicoli) per turisti e per quanti, e non sono
pochi, sentono ancora il richiamo della storia
Quali considerazioni possiamo trarre da questa pagina
di storia militare?
Non dimentichiamo che nella vicenda dello
Chaberton ci furono 10 morti e 50 feriti. Qualcuno definì giustamente il forte
dello Chaberton una “bella donna precocemente
appassita”. Ed in effetti, se le torrette appena blindate potevano avere un senso all'epoca della costruzione,
quando in altri forti i cannoni erano sistemati in barbetta, cioè allo,
scoperto, una decina di anni dopo, con l'avvento di nuovi esplosivi e dei grossi
calibri a tiro curvo, il forte divenne inesorabilmente obsoleto.
Mentre altrove si mettevano le artiglierie (e gli
uomini) in cupole corazzate spesse 20-30
annegate in spessi sarcofagi di cemento, lo Chaberton, il "forte più alto d'Europa", dalle artiglierie
spiccatamente offensive, considerato dai francesi una minaccia pericolosa,
quasi potesse mantenere per decenni quell'invulnerabilità che aveva all'epoca della
sua progettazione non fu messo in grado di resistere adeguatamente
all'evoluzione degli strumenti di offesa e alla risposta che avrebbe scatenato
aprendo il fuoco.
Nel giugno del '40 si manderanno cosi i coraggiosi
artiglieri dello Chaberton dentro una scatoletta di latta con una corazza di 16
millimetri, come poi si manderanno nel deserto della Libia altre scatolette di
latta da tre tonnellate armate di mitragliatrici (o da 14 con cannone da 47,
cambia poco) contro tank da 26 tonn. con cannoni da 75, o gli alpini nelle nevi del Don con divise di
autarchica Lanital, scarponi chiodati (i vibram, esistenti dal '38, costavano
troppo per un impero che aveva dichiarato guerra alle più grandi demoplutocrazie
del mondo), bombe a mano e bottiglie di benzina contro i T 34 russi, o i
biplani CR 42 a mitragliare Londra, con i sacchetti di sabbia nel portaoggetti
dietro alla schiena del pilota per supplire alle corazze che mancavano e le cartine
del Touring Club (anzi, Consociazione Turistica) come guida radar.
I francesi non distrussero lo Chaberton grazie alla fortuna, ma perché avevano
pensato e provveduto in tempo.
Ecco cosa scrisse Ciano nel suo diario il 25 giugno '40 :"Si sono mandati gli uomini incontro ad una inutile morte, due giorni prima dell'armistizio, con gli stessi sistemi di venti anni or sono. Se la guerra in Libia ed in Etiopia sarà condotta in egual maniera l'avvenire ci riserba molte amarezze".
Ecco cosa scrisse Ciano nel suo diario il 25 giugno '40 :"Si sono mandati gli uomini incontro ad una inutile morte, due giorni prima dell'armistizio, con gli stessi sistemi di venti anni or sono. Se la guerra in Libia ed in Etiopia sarà condotta in egual maniera l'avvenire ci riserba molte amarezze".
Dell'imprevidenza italiana, dei silenzi o dell'incapacità' di chi non poteva ignorare quali fossero le reali condizioni dei nostri mezzi, i 631
morti e soprattutto le 2150 vittime di episodi di congelamenti nella brevissima
campagna contro la Francia (sulla quale, come scrisse Ciano, "è provvidenzialmente caduto il sipario dell'armistizio") furono la dimostrazione più evidente: in guerra il valore,
da solo, non basta ([4]) . Ed era solo l'inizio...
Leonello Oliveri
Propr. Lett. Riserv.
Riprod. vietata
Mortaio Schneider (da Wikipedia) |
[1]) Il mortaio Schneider aveva due tipo di proiettili:
l'OAC da 275 kg con spoletta in culatta per bersagli duri, l'OAT (205 kg) con
spoletta in ogiva per bersagli normali. Quest'ultimo fu quello utilizzato, con
successo, contro il forte italiano: la scelta è indicativa sia delle doti di
resistenza delle murature dello Chaberton (bastava un proiettile normale), sia
dei buoni risultati ottenuti dall' inteIligence francese. Per fare un
confronto possiamo ricordare che durante la I G.M. il forte francese di
Moulainville resistette ad oltre 300 colpi da 420mm. (e a 8000 colpi di minor
calibro) rispondendo con 6000 tiri da 155 e 12000 da 75mm.
[3]) "Una sola volta vidi un aereo
nemico sullo nostra posizione, scrisse nel suo rapporto il ten. Fouletier, comandante della sez.
mortai di Poet Morand, arrestai il tiro un istante perche con i nostri grossi
schioppi puntati verso il cielo avremmo scrollato il pilota dal suo sedile e
attirato l'attenzione sulle nostre lunghe fiammate”. Ma i grossi schioppi non furono visti dal pilota
italiano.
[4]) Molte informazioni (e foto a
corredo di questo articolo) sono state prese dai seguenti testi o siti web: E.
Castellano, Distruggete
lo Chaberton, Edizioni il Capitello,
Torino, 1984; D. Gariglio, Popolo italiano,
corri alle armi. 10-25 giugno 1940 : /'attacco alla Francia, Blu
edizioni 2001; M. Boglione, Le strade dei cannoni.
In pace sui percorsi di guerra. BIu edizioni, Peveragno Cn. 2003; D.
Gariglio, M. Minola, Le fortezze delle Alpi
occidentali, ed. L'arciere, Cn., 1994; www.thuler.net; www.fortechaberton.com (R.Chirio); www.fortificazioni.com (M.Minola); http://stradecannoni.
altervista.org (M. Boglione); http://digilander.libero. it/avantisavoia (F. Storti).